Running: lavoriamo sulla forza massima per migliorare l’efficienza di corsa

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(Aggiornato al 14/08/2023)

Qualche giorno fa lessi un interessante articolo di Orlando Pizzolato nel quale affermava come 9 podisti amatori su 10 abbiano come punto debole l’efficienza meccanica, data dall’incapacità di applicare la forza muscolare.

Non a caso, anche in bibliografia internazionale sono sempre più gli studi che confermano come un corretto allenamento per la forza muscolare possa essere efficace per i runner di tutti i livelli, sia per la performance che per prevenzione infortuni. Non solo, a trarne giovamento sarebbero proprio i podisti con minore forza muscolare (Bazyler et al 2015 e Boullosa et al 2020).

Sono in particolar modo i protocolli finalizzati all’incremento della forza massima ad aver ricevuto i maggiori consensi da studi e ricerche; solitamente sono mezzi allenanti in cui si effettuano poche ripetizioni, con apie pause e carichi molto elevati.

Malgrado si sia portati ad ipotizzare che queste esercitazioni richiedano attrezzature ed assistenza, oggi sappiamo che è possibile effettuare carichi massimali grazie alla funzionalità dei movimenti, senza utilizzare necessariamente attrezzature da palestra; è quello che proporremo in questo articolo.

Grazie all’utilizzo dello squat monopodalico ad angoli articolari sfavorevoli sarà possibile lavorare sulla forza massima con un movimento semplice ed impiegando poco tempo.

In questo articolo troverete un protocollo suddiviso in 3 step, al secondo dei quali sarà già possibile ottenere evidenti miglioramenti della forza massima. A beneficiarne, sarà l’efficienza di corsa; in altre parole, l’atleta non sarà solamente più performante, ma sarà anche meno vulnerabile ad affaticamenti ed infortuni, oltre a percepire meno faticosa la corsa; tutto questo è quello che emerge dalla bibliografia internazionale.

Prima di passare al nostro protocollo, credo sia doveroso effettuare un breve approfondimento di quello che emerge da studi e ricerche; questo per comprenderne gli effetti e per individualizzare al meglio l’allenamento in base alle proprie caratteristiche.

Perché la forza massima?

Semplice, perché è lavorando su questa qualità che si ottengono migliori risultati nel lungo termine (Bazyler et al 2015) e perchè tutti gli atleti rispondono positivamente a questo tipo di stimoli.

Tutti sappiamo che esistono diverse forme di qualità neuromuscolari; ad esempio, la Resistenza Muscolare locale è la tipologia di forza più specifica per il runner. Semplificando, possiamo affermare che questa qualità evita che durante la competizione (o gli allenamenti) i muscoli perdano capacità di contrarsi con efficacia, mantenendo una buona economia di corsa. È particolarmente importante soprattutto quando si corre in salita e nei finali delle competizioni.

È quindi evidente che questa qualità si alleni in particolar modo correndo in salita; non a caso, la corsa in salita (nelle sue varie forme) rappresenta la forma allenante principale per la forza specifica del runner (cioè la Resistenza muscolare locale).

Allora cosa c’entra la forza massima?

Come evidenziato nei primi paragrafi dell’articolo, la maggior parte dei runner amatori ha livelli insufficienti di forza, e non per tutti le salite sono stimoli sufficienti per colmarne queste lacune. In particolar modo, hanno bisogno di lavorare sulla forza massima:

  • Chi necessita di migliorare in discesa
  • Chi vuole migliorare su salite particolarmente ripide
  • Chi ha particolari deficit di forza
  • Chi effettua un elevato chilometraggio settimanale o ha la tendenza a diminuire i livelli di forza quando si incrementa il volume dell’allenamento

Non solo, è proprio dalla bibliografia internazionale che emerge come il lavoro di forza massima sia quello che abbia maggiori benefici, in particolar modo nel lungo termine; li vedremo meglio nel prossimo capitolo.

Quello che mi preme ora far capire, è che le qualità neuromuscolari del runner si differenziano in forza è velocità (vedi immagine sotto);

Questa semplificazione è necessaria per capire come la forza sia la base della velocità. Quest’ultima, per comodità didattica, la dividiamo nelle 2 componenti biomeccaniche che determinano lo spostamento del runner, cioè la stiffness e la spinta orizzontale; non spaventatevi perché sono 2 concetti molto più semplici di quanto si possa pensare.

La spinta orizzontale non è altro che la componente del movimento che “spinge” orizzontalmente il runner; è molto importante, perché la corsa si sviluppa proprio in orizzontale. È data principalmente dalla capacità di esprimere rapidamente ed in maniera coordinata la forza della catena posteriore e flessoria durante la fase di spinta. È una variabile legata alla forza del core e delle catene posteriori e flessorie; per approfondire potete leggere il nostro post sulla core stability.

Quello che invece ci interessa analizzare in questo articolo, è la stiffness del runner, cioè la capacità dei muscoli di accumulare energia elastica quando il piede impatta con il terreno e restituirla nella fase di spinta. Questa qualità è estremamente importante, perché consente al podista di effettuare le “fasi di volo” riducendo il più possibile la spesa energetica, ; questo perché possiamo considerare l’energia elastica come una spesa “gratuita” per i nostri muscoli, cioè che non consuma direttamente energia, ma sfrutta le oscillazioni verticali del movimento.

Nell’immagine sopra (parte alta) è possibile vedere come la catena muscolare estensoria possa essere considerata come un “molla”, la cui efficienza permette di garantire una fase di volo adeguata all’andatura imposta dalla spinta orizzontale. L’effetto “molla” è garantito proprio dall’elasticità dei muscoli.

Nella parte inferiore dell’immagine invece, c’è il confronto ipotetico tra 2 runner che imprimono la stessa spinta (vedi lunghezza totale della freccia), ma con gradi diversi di elasticità; è evidente che quello che ha il maggior ritorno elastico, avrà una spesa energetica inferiore (cioè il Runner n° 2).

Recenti studi  (Lai et al 2015Bohm et al 2018Bohm et al 2019) hanno dimostrato come l’elasticità muscolare della catena estensoria (soprattutto “polpacci” e quadricipite) venga accumulata prevalentemente nelle strutture tendinee; il suo sfruttamento è significativo quanto più adeguato ed elevato è il livello di forza.

Questo è il motivo per il quale la forza è considerata la base della velocità; per chi volesse approfondire ulteriormente l’argomento, consigliamo il nostro articolo sull’allenamento funzionale per la forma massima.

Come devono essere i movimenti che allenano la forza massima? 

La bibliografia internazionale ci viene in aiuto con l’importante revisione di Bazyler et al 2015; questi definiscono questa qualità come

la massima quantità di forza che un muscolo, od un gruppo di muscoli, può esercitare contro una resistenza esterna molto elevata a tal punto da limitare la velocità del movimento

È quindi evidente come questa debba essere allenata applicando elevati carichi, tali da richiedere la massima applicazione (o quasi) di forza per un “tempo” prolungato; questo “tempo”, è stato più volte indicato di almeno 0.7-0.8” (Colli 2012).

In questo modo si ha anche la certezza che tutte le fibre muscolari siano stimolate (Beardsley 2021), cosa che non avviene per i movimenti esplosivi, cioè sforzi pur sempre di intensità massimale, ma che vengono applicati per brevissimo tempo.

Questo tipo di stimolo è poi stato visto come meno lesivo (Edwards 2018) nei confronti delle strutture tendinee (perché le ripetizioni sono di numero ridotto), ma con un alto impatto allenante nei confronti di queste strutture.

Quello che è importante, è l’utilizzo di movimenti che siano semplici ed attuabili senza la necessità di attrezzature costose (o ingombranti); lo squat monopodalico eccentrico ad angoli articolari sfavorevoli è sicuramente il mezzo ideale per il runner; prima di vederlo nel dettaglio, concludiamo con l’elenco dei benefici.

Quali benefici emergono dalla bibliografia internazionale?

Orami sono diverse le review e le meta-analisi che hanno approfondito l’argomento (Blagrove et al 2018, Denadai et al 2017, Balsalobre-Fernandez 2016, Bazyler et al 2015); si tratta di studi di revisione che analizzano i risultati di tutte le ricerche effettuate, per dare un resoconto dell’efficacia o meno di una determinata metodica.

Quando applicati correttamente, le esercitazioni per la forza massima sono i mezzi di potenziamento migliori per incrementare la performance; questo avviene principalmente grazie ad un miglioramento dell’economia di corsa, cioè una riduzione della spesa energetica associata alle varie velocità.

Infatti, grazie ad un incremento della stiffness/elasticità si riducono i tempi di contatto ed aumenta la fase di volo (Boullosa et al 2020); questo provoca un aumento della fase di rilassamento, cioè di quel momento in cui i muscoli non “lavorano” (De Rosa et al 2019). In questo modo, i muscoli spendono meno energia e si affaticano meno.

Oltre ad un incremento della performance, l’abbassamento del tempo di contatto riduce anche la percezione della fatica, migliorando il piacere di correre.

Questi benefici sono più evidenti tanto più basso è il livello di forza del runner, e con l’aumentare dell’età (Boullosa et al 2020).

Grazie a questo tipo di stimolo, si rinforzano anche i tendini, riducendo il rischio di infortunio a queste strutture.

Lo squat “funzionale” per l’incremento della forza massima

È evidente come lo squat sia il movimento ideale per incrementare la forza della catena estensoria, cioè quella direttamente collegata alla stiffness; grazie all’allenamento funzionale, sappiamo che è possibile incrementare il carico percepito dalla muscolatura passando da 2 appoggi ad un appoggio (da squat bipodalico a squat monopodalico).

Sappiamo anche che maggiore è il grado di piegamento dell’arto inferiore e maggiore sarà la forza che devono impiegare i muscoli a causa di motivi di natura biomeccanica (Colli 2012).

Abbinando quindi questi 2 prerequisiti (lavoro su un solo appoggio ed utilizzo di angoli “sfavorevoli”) vi assicuro che la quasi totalità dei runner riuscirà a reclutare il massimo della propria forza.

Ma nei precedenti paragrafi abbiamo anticipato come il nostro protocollo debba essere anche molto semplice; malgrado gestire contrazioni di natura massimale non sia facile, utilizzando solo la fase eccentrica (cioè di “discesa”) si semplifica di molto l’esecuzione del movimento.

Ma andiamo ora a vederlo nel dettaglio come deve essere effettuato l’esercizio.

Nel video sopra è possibile vedere un dettaglio dell’esecuzione, anche se non perfetta (nel video si usa una superficie inclinata, mentre il nostro protocollo prevede di effettuarla sopra una superficie piana, come può essere un pavimento); quello che è importante comprendere dal video, è che è necessario piegare le gambe fino a quando si percepisce di non riuscire più a scendere ulteriormente; a questo punto si tiene la posizione di massimo impegno per circa 1” e poi si riappoggia l’altra gamba per risalire.

È quel 1” mantenuto nella posizione di massima applicazione di forza che rappresenta lo stimolo allenante del movimento; infatti, come detto sopra, sono necessari almeno 0.7-0.8” di applicazione di forza molto elevata (Colli 2012) per stimolare il miglioramento della forza massima.

Il fatto di eseguire solo la fase eccentrica (cioè la discesa) in condizione monopodalica offre il vantaggio di lavorare al massimo sull’intensità, minimizzando la fatica muscolare (che solitamente scaturisce dalle fasi di sollevamento); questo permette di ridurre la fatica che può indurre questo tipo di lavoro sugli allenamenti di corsa. Infatti, il potenziamento muscolare deve essere da “supporto” all’allenamento di corsa, comportando un eventuale affaticamento gestibile negli allenamenti successivi.

Il fatto di essere svolto lentamente aiuta a reclutare tutte le fibre muscolari (Beardsley 2021), allenando anche le “fibre lente”, che solitamente vengono poco sollecitate dai movimenti più veloci. Questo aiuta anche lo sviluppo ed il rinforzo delle strutture tendinee.

Malgrado sia un movimento semplice, è comunque importante seguire alcune raccomandazioni esecutive, al fine di ottimizzare lo stimolo e ridurre il rischio di asimmetrie.

Clicca sull’immagine per ingrandire

Nell’immagine sopra potete vedere alcune raccomandazioni di tipo biomeccanico (visione laterale) al fine di eseguire il movimento correttamente; nei prossimi capitoli potrete scaricare le schede della simmetria dei movimenti (Step n° 1), l’esercizio vero e proprio (Step n° 2) e la variante più impegnativa (step n° 3).

Step n° 1: simmetria dei movimenti

Con il passare degli anni e degli “acciacchi”, può capitare di eseguire la propria corsa in situazione di leggera asimmetria; molte volte queste situazioni non sono percepibili, ma nel tempo possono dare origine ad infortuni e recidive.

Non solo, la differenza di solo l’1% nel tempo di appoggio tra un piede e l’altro, provoca un incremento del 3,7% del costo metabolico della corsa (Joubert et al 2020), con evidenti ripercussioni sulla performance.

Questo tipo di anomalie sono ben identificabili con esami posturali e biomeccanici (questo tipo di valutazioni rappresentano un ottimo investimento), ma percepibili anche quando si recluta la muscolatura ad intensità elevate, ancora più in allungamento (come nel nostro squat).

È quindi evidente come il primo approccio allo squat monopodalico sia teso a fare in modo che queste asimmetrie non vadano ad incidere negativamente sul nostro stimolo allenante.

Iniziamo con gli esercizi propedeutici, cioè quei movimenti che aiutano a guadagnare stabilità e mobilità delle catene; questi sono gli esercizi di allungamento funzionale (squat profondo, single leg deadlift ed affondi). Falli nel riscaldamento di tutti gli allenamenti di corsa; ne trarrai molti benefici.

Ma veniamo a come eseguire il movimento nello Step n°1; in questa fase gli obiettivi dovrebbero essere 2:

  • Apprendere correttamente il movimento
  • Cercare di percepire le asimmetrie in maniera tale che non vadano a peggiorare la postura e l’efficienza atletica.

Un esempio di asimmetria potrebbe essere la difficoltà nel mantenere l’equilibrio su un piede rispetto all’altro, oppure la capacità di “piegarsi” con più mobilità su una gamba piuttosto che sull’altra.

Il tipo di asimmetria più difficile da percepire, ma estremamente importante, è la capacità di rimanere in appoggio concentrando il carico quasi esclusivamente sull’avampiede; attenzione, ciò non significa che si debba sollevare evidentemente il tallone, ma che il carico sia prevalentemente focalizzato sulla parte anteriore del piede. Sollevare appena il tallone da terra (anche solo 1 mm) è un modo efficace per eseguire correttamente il movimento.

Altro aspetto estremamente importante è che la posizione del ginocchio sia in asse con la linea di unione tra anche e caviglia (vedi immagine parte di destra dell’immagine sotto)

Immagine tratta da Wilczyński et al 2020

Un atteggiamento del ginocchio in valgo (parte sinistra dell’immagine) mentre si esegue questo movimento è un errore da evitare; se non si riesce a correggere questo tipo di difficoltà, è sinonimo di un’anomalia posturale abbastanza marcata. In questi casi, sarebbe bene fare una vista posturale o biomeccanica al fine di individuare le cause di questa problematica (che sicuramente limita l’efficienza di corsa ed incrementa il rischio di infortuni) e di conseguenza intervenire con esercizi correttivi.

Stessa cosa, se le ginocchia hanno un atteggiamento in varo, cioè tendono ad avere la forma a “parentesi tonda”.

Anche le compensazioni del busto possono essere frequenti, visto che riflettono debolezze ed asimmetrie delle catene; durante lo squat monopodalico eccentrico, l’asse di spalle ed anche dovrebbero essere correttamente allineate sul piano frontale; a questo link potete vedere le anomalie solitamente riscontrate e le possibili cause.

Bene, dopo questa “breve” introduzione credo sia facile comprendere come questo step sia fondamentale per applicare correttamente il movimento; non abbiate fretta di passare a quello successivo, in quanto già a questo step potrete vedere i primi benefici.

Modalità di esecuzione

Prima di scaricare la scheda dell’esercizio, indichiamo le modalità di esecuzione; in questo step, è da evitare di svolgere la fase eccentrica fino allo sforzo massimale, ma fermarsi un po’ prima; questo permetterà di effettuare più ripetizioni, e di conseguenza imparare meglio il movimento e di lavorare meglio sulle asimmetrie.

La fase concentrica (cioè la risalita) deve sempre essere fatta con entrambe le gambe.

Partiamo dal presupposto che è meglio dare tanti piccoli stimoli allenanti diluiti durante la settimana, piuttosto che stimoli elevati localizzati in un solo giorno. Questo permetterà di gestire con maggiore facilità l’effetto allenante, di minimizzare le conseguenze della fatica ed apprendere più facilmente i movimenti.

Ma quante ripetizioni fare?

Ovviamente si può andare dalle 7-8 fino alle 10 ripetizioni per gamba in maniera alternata, con almeno 5-10” di recupero tra una ripetizione e l’altra; questo permetterà di essere maggiormente concentrati durante l’esecuzione.

Iniziare sempre prima con l’arto con il quale si percepisce maggiore difficoltà; con l’altra gamba eseguire il movimento con gli stessi parametri (grado di piegamento, ecc.) per non alimentare ulteriori asimmetrie.

Quante volte a settimana?

Ovviamente è soggettivo; sta al runner, con la sua sensibilità, capire quando lo stimolo è “troppo” (cioè lascia affaticamenti l’allenamento successivo) o “troppo poco”. Di norma è possibile iniziare eseguendo lo squat monopodalico eccentrico a giorni alterni, evitando di farlo il giorno che precede un allenamento impegnativo.

Può essere fatto dopo l’allenamento di corsa a patto che non sia stato troppo impegnativo o abbia generato affaticamenti localizzati. Se viene effettuato in altri momenti della giornata, è necessario assicurarsi di aver fatto un riscaldamento adeguato, con all’interno gli esercizi di allungamento funzionale.

Esistono controindicazioni?

Ovviamente, come in tutti i programmi di potenziamento, è necessario prima chiedere il parere di personale qualificato, in particolar modo nel caso in cui si abbiano avuto infortuni recenti, frequenti recidive (in particolar modo patologie tendinee), interventi chirurgici (come al ginocchio) o anomalie posturali. In ogni modo, iniziando con estrema gradualità si limita fortemente il rischio di affaticamenti o altre problematiche.

Sotto potete scaricare la scheda dell’esercizio, con riassunte tutte le indicazioni fornite in questo capitolo; seguitele fedelmente, perché sono la qualità e la correttezza del movimento a determinare i benefici!..questo vale per tutti gli step.

Step n° 2: squat monopodalico eccentrico

Prima di passare a questo step è necessario padroneggiare correttamente il movimento in maniera non massimale; controllate sempre l’esecuzione ad uno specchio, a volte frontalmente ed a volte lateralmente.

Non si deve avere fretta, perché ogni miglioramento dell’esecuzione tecnica comporta dei benefici nella corsa. “Bruciare le tappe” rischia di alimentare asimmetrie e limitarne l’utilità.

In questo step, il numero di ripetizioni ideali per iniziare è 4 per gamba, anche solo 1 volta a settimana. Da questo punto di partenza si potrà poi capire con che frequenza proporlo; vediamo ora come.

Nell’immagine sotto trovate una semplificazione di quello che può essere l’andamento dei livelli di forza a seguito di uno stimolo allenante.

Clicca sull’immagine per ingrandire

Come potete vedere, a seguito dello stimolo si assiste ad un periodo di affaticamento durante il quale sarebbe bene non eseguire allenamenti particolarmente impegnativi (sia di corsa che di forza) per recuperare adeguatamente e non rischiare infortuni.

Successivamente si assiste ad un miglioramento dei livelli di forza (superiore a quelli iniziali) durante il quale è possibile somministrare un altro stimolo; per un runner è però da considerare che gli effetti dell’allenamento di forza (come gli affaticamenti) si sommano a quelli di corsa.

Sta quindi alla sensibilità del runner (perché ogni podista è diverso dall’altro) capire quando possa essere il momento ideale per proporre l’esercizio o meno.

Di norma, è consigliabile iniziare facendo le 4 ripetizioni (per gamba) una volta a settimana, in un momento nel quale non ci si sente affaticati e non troppo a ridosso di allenamenti impegnativi; può essere fatto dopo allenamenti di corsa di medio-basso impegno, magari non nelle 24-36 ore che precedono un allenamento impegnativo.

È sempre bene far “qualcosa in meno” piuttosto che “qualcosa in più”; questo eviterà infortuni e soprattutto aiuterà ad affinare la consapevolezza e la sensibilità nel gestire gli stimoli allenanti…che è una delle doti principali di chi è allenatore di sé stesso.

Chi esegue allenamenti con salite, può diluire ulteriormente la frequenza delle esercitazioni legate alla forza, perché gli stimoli sono in parte sovrapponibili.

Per il riscaldamento valgono le stesse indicazioni dello step precedente, al quale vanno aggiunte 2-3 ripetizioni non massimali.

Ricordatevi sempre la qualità del movimento e la simmetria degli stimoli (stessi parametri con il lato destro e sinistro) e recuperate sempre almeno 5-10” (magari camminando qualche passo) tra una ripetizione e l’altra.

L’incremento del carico (se si ritiene sia necessario) può avvenire con un aumento delle ripetizioni (fino ad un massimo di 6 per gamba) od un incremento della frequenza con la quale vengono eseguite settimanalmente; in quest’ultimo caso è necessario prestare attenzione che gli affaticamenti di queste sedute si sommano a quelli indotti con gli allenamenti di corsa.

Ricordatevi sempre che l’allenamento di potenziamento deve essere da “supporto” al normale allenamento di corsa e non “limitarlo”.

Proprio perché è un movimento relativamente semplice che porta via poco tempo, è importante mantenere la massima concentrazione per rispettare tutti i parametri esecutivi per ottenere i massimi benefici. Valgono le stesse controindicazioni dello step precedente.

Step n° 3: modalità statico-dinamica

Questo terzo “gradino” rappresenta sicuramente la variante più impegnativa, che può essere affrontata solamente dopo che si è utilizzato per diverso tempo la precedente, oltre a padroneggiare con disinvoltura il movimento senza il minimo errore. Non è uno step al quale è necessario arrivare.

Il movimento è lo stesso (squat monopodalico), ma anche la fase concentrica viene effettuata su una sola gamba e senza soluzione di continuità. Questa modalità è presa dalle esercitazioni statico-dinamiche, che utilizzano ripetizioni in cui sia la fase eccentrica (discesa), che quella concentrica (risalita) vengono fatte lentamente in una serie di poche ripetizioni (in tutto 4 nella durata di 40”).

Altro fattore chiave di questa tipologia di approccio è il non portare, durante la ripetizione, i muscoli in posizione di rilassamento (cioè non “raddrizzare” completamente la gamba); in questo modo, verrà rallentato il flusso di sangue nei muscoli (soprattutto nella fase concentrica; Moore 2016) aumentando l’affaticamento, e di conseguenza lo stimolo allenante.

Riassumendo, l’esercitazione si effettua in serie unica nella quale si scende in circa 6” e si risale in 4” (il tutto in appoggio su una sola gamba), ma senza arrivare a raddrizzare completamente l’arto inferiore; la serie dura 40”, quindi le ripetizioni da fare sono 4. Durante la fase eccentrica si scende il più possibile vicino al punto di discesa a cui si arrivava nello step precedente. La respirazione deve essere naturale e ritmica senza trattenere il respiro.

Il riscaldamento consiste nello stesso protocollo dello step precedente al quale si aggiungono 4-5 ripetizioni eccentriche (solo discesa), 2 delle quali massimali.

Se lo stimolo allenante sarà maggiore, sarà anche necessario un tempo di recupero superiore; in particolar modo la prima volta che si effettua questo movimento potrà occorrere più del doppio del tempo opportuno dopo la somministrazione dei movimenti solo eccentrici (Step n° 2).

È consigliato ad atleti (con idoneità agonistica) che hanno raggiunto un grado di esperienza elevata con questo movimento, in quanto rappresenta uno stress muscolare elevato; questo perché oltre allo stimolo di natura contrattile (dovuto all’impegno della contrazione muscolare) si sovrappone quello metabolico dovuto all’affaticamento indotto dal ridotto rilassamento muscolare.

È ragionevole ipotizzare che stimoli anche in maniera particolarmente importante la resistenza muscolare locale, migliorando anche la capacità di correre in salita.

Per questo motivo, è consigliabile l’utilizzo di questo mezzo allenante per chi effettua gare con salite (perché necessita di elevati livelli di resistenza muscolare locale) o per chi non utilizza salite medio-lunghe nel proprio programma d’allenamento. Per chi utilizza regolarmente salite (medio-lunghe, anche nei collinari), ma non deve affrontare competizioni con ascese particolarmente impegnative, può anche “fermarsi” al secondo step.

Ovviamente l’effetto allenante si può sovrapporre a quello delle salite, quindi è da fare particolare attenzione a non generare “affaticamenti a catena”; può essere proficuo inserire lo squat monopodalico in modalità statico-dinamica anche solo una volta ogni 2 settimane.

Inserimento del programma d’allenamento

Visto che ogni atleta è diverso dall’altro, è importante ascoltare le sensazioni del proprio corpo e riconoscere gli effetti degli stimoli allenanti, al fine di essere l’allenatore di sé stesso.

L’allenamento complementare (come il potenziamento muscolare) deve essere a sostegno al normale allenamento di corsa, quindi è importante un’introduzione graduale che non vada a compromettere la routine del proprio training.

Per questo motivo, anche se il nostro protocollo con lo squat monopodalico è semplice e porta via poco tempo, è necessario abbinarlo a stimoli che migliorino anche la mobilità articolare, in particolar modo ai range articolari estremi, come i movimenti di allungamento funzionale; questi vanno fatti in tutti gli allenamenti di corsa nella fase di riscaldamento; vi prepareranno ad affrontare meglio la seduta e aiuteranno a migliorare l’atletismo generale. In particolar modo eviteranno che si formino rigidità posturali che limitano i movimenti e peggiorano l’economia del gesto, come le oscillazioni e le rotazioni eccessive del bacino.

Inoltre, consiglio di abbinare l’allenamento dello squat monopodalico al circuit training; quest’ultimo utilizza gli stessi movimenti dell’allungamento funzionale ma con lo scopo aggiuntivo di migliorare anche la forza dell’atleta agli angoli articolari più “critici”; aiutando anche a percepire e (in parte) a ridurre le asimmetrie, fornisce un ottimo contributo a migliorare l’atletismo generale del runner. Come potete leggere dal nostro articolo sul circuit training, quest’ultimo è possibile farlo anche durante il normale allenamento di corsa.

Altro protocollo che consiglio di abbinare al potenziamento, è il rinforzo della core stability in abbinamento alla forza orizzontale. Nel nostro articolo specifico potete trovare 3 protocolli (base, intermedi o avanzati) adatti ad ogni esigenza. 

Ma quando inserire lo squat monopodalico nella preparazione di una competizione?

La metodologia d’allenamento consiglierebbe di effettuare il volume maggiore nella parte iniziale e centrale della stagione (periodo generale), per poi ridurre gli stimoli al semplice “mantenimento” nella parte finale (periodo specifico), durante il quale diventa massimale lo stimolo verso le qualità richieste in gara.

Per un amatore, che ha un regime di preparazione più lineare (in quanto è dettato dal tempo che ha a disposizione per allenarsi), credo sia importante incrementare con gradualità il carico lavoro man mano che si acquisisce confidenza con il movimento; questo senza che mai vada a compromettere l’allenamento di corsa.

Ovviamente nei periodi dell’anno in cui si effettuano dei carichi specifici importanti (i lunghi in una maratona o più gare di una certa lunghezza) è necessario ridurre il potenziamento, al fine di recuperare al meglio gli stimoli derivanti dagli allenamenti di corsa. In questi casi, è sempre bene trovare il momento per effettuare un minimo mantenimento di forza, anche se con il 40-60% del volume normalmente effettuato.

Anche quando si effettuano stimoli di velocità (ripetute brevi, volumi elevati di allunghi, ecc.) è bene ridurre il carico di forza, affinchè si effettuino gli allenamenti intensi con la massima freschezza. Non mi dilungo ulteriormente sull’argomento, del quale potete trovare un approfondimento nel nostro articolo dedicato alla forza ed alla velocità del runner.

Più forti in discesa

Nell’immagine a fianco è possibile vedere le qualità necessarie per correre in discesa; alla base della piramide c’è proprio la forza, in quanto rappresenta la base della velocità (la stiffness in questo caso). In cima troviamo le qualità muscolari specifiche, quelle che servono sia per districarsi su terreni irregolari o per affaticarsi il meno possibile.

È quindi evidente come runner che si trovano in difficoltà quando la strada scende, dovrebbero ricercare primariamente le loro lacune nella forza muscolare (anche se ogni caso può essere diverso dall’altro). Un lavoro come quello proposto in questo articolo (soprattutto lo Step n° 2),  se correttamente strutturato, migliora il livello di forza; in particolar modo “aiuta” l’atleta ad assorbire con più facilità l’impatto in fase di appoggio (riducendo le vibrazioni muscolari), permettendo di gestire con maggiore disinvoltura la discesa e con un grado di affaticamento inferiore.

Potete trovare il nostro approfondimento sulla corsa in discesa a questo link.

Riassunto conclusivo

In questo articolo abbiamo visto come la maggior parte dei runner amatori sia carente di forza muscolare; questo ha pesanti ripercussioni sulla perdita di efficienza di corsa.

Un lavoro di potenziamento adeguato, finalizzato al miglioramento di questa lacuna, permette di migliorare la performance ed il piacere di correre, oltre a ridurre l’incidenza degli infortuni. Lo squat monopodalico eccentrico rappresenta una soluzione semplice e funzionale per raggiungere questo obiettivo.

In abbinamento ad altri mezzi complementari (allungamento funzionale, core stability e circuit training) aiuta a migliorare l’atletismo del runner, prevenendo anche il peggioramento di quelle variabili (forza muscolare, rigidità posturali, ecc.) che con l’avanzare dell’età tolgono brillantezza alla performance del podista.

Quando la necessità è anche quella di migliorare la forza dei planti-flessori (cioè di quei muscoli che agiscono sulla spinta deli piedi), consiglio anche di effettuare l’esercizio da noi selezionato dal protocollo Orton.

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Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

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