L’allenamento intermittente per il runner

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L’aspetto principale dell’intermittente è quello di riuscire a lavorare con livelli di fatica muscolare inferiore (a pari carico allenante esterno) rispetto ad allenamenti simili come le ripetute. Questo può offrire un vantaggio nel caso in cui si riesca ad inserire in maniera adeguata questo “ingrediente” nel programma d’allenamento.

Ad esempio, nell’immagine sotto è possibile visionare il confronto di quello che potrebbe essere un allenamento intermittente (parte sotto) con un allenamento di ripetute (parte sopra) aventi lo stesso carico esterno, cioè la potenza espressa nelle fasi attive e passive; in sostanza, nell’allenamento intermittente entrambi le fasi sono molto più corte rispetto alle ripetute.

Il risultato è che il consumo di ossigeno medio è superiore (come si può vedere dalla linea rossa della frequenza cardiaca); allo stesso tempo le concentrazioni di lattato del sangue rilevate in questa tipologia di allenamenti sono inferiori rispetto a quelli di ripetute.

Questo significa che con l’intermittente è possibile lavorare ad intensità molto elevate, ma con livelli di fatica muscolare inferiore, con la probabilità di dare uno stimolo allenante particolarmente efficace che si può recuperare più velocemente.

A suffragio di questa affermazione, vengono le ricerche di Ronnestad et al 2020 e Almquist et al 2020, che sono giunte proprio a questa conclusione; potete vedere una disamina approfondita dell’argomento nel nostro post dedicato all’allenamenti intermittente.

Ma quello che ci interessa in questo articolo, è fornire una guida estremamente semplice per tutti i runner, che possa aiutare a strutturare un allenamento di tipo intermittente, in modo tale da poterne sfruttare al meglio gli effetti allenanti.

Andremo quindi ad analizzare come collocare questa forma allenante all’interno del piano d’allenamento e come gestire le varianti possibili al fine di indirizzare lo stimolo biologico verso la qualità che più interessa.

Come abbiamo visto sopra, i benefici dell’utilizzo di questo “ingrediente” possono portare a dei vantaggi; ma come in ogni ricetta che si rispetti, anche “l’ingrediente” migliore deve essere dosato nella giusta quantità al fine di ottenere il risultato ottimale.

Quali sono i vantaggi concreti che emergono dalle evidenze?

I primi studi sull’intermittente risalgono agli anni ‘60, quindi da molto tempo si conoscono le caratteristiche fisiologiche allenate da questa tipologia di protocolli; ma solo negli ultimi anni si è cercato di confrontare l’intermittente (che abbiamo visto utilizzare intervalli molto brevi) con altri allenamenti, come le ripetute.

Nell’immagine sotto è possibile vedere i risultati ottenuti da Ronnestad et al 2020 e Almquist et al 2020 nel confronto tra 2 allenamenti (uno di intermittente ed uno di ripetute) e i risultati a medio termine di questa tipologia di sedute.

Dati estrapolati dagli studi di Ronnestad et al 2020 e Almquist et al 2020

Com’è possibile notare, i 2 allenamenti hanno caratteristiche tali da indurre lo stesso livello di fatica (frecce verdi), ma l’intermittente consente di stare per un tempo superiore oltre il 90% del Vo2max (frecce viola). Senza addentrarci in spiegazioni che coinvolgono la fisiologia dell’esercizio, è universalmente riconosciuto (Arnold 2020) come il tempo passato oltre il 90% del Vo2max in una seduta di allenamento (dedicata alla velocità di gara), possa essere considerato come uno degli indici allenanti principali. Non a caso (sempre nella figura sopra) possiamo vedere come dopo 3 settimane di allenamento la performance fosse migliorata solamente negli atleti che utilizzarono il metodo intermittente (riquadro verde).

Questo ovviamente non deve illudere che inserendo questo metodo d’allenamento si abbatteranno tutti i propri personal best, in quanto sono da considerare importanti variabili, alcune delle quali citate sotto:

  • Lo studio effettuato è stato fatto su ciclisti, quindi non è detto che gli effetti siano sovrapponibili anche per la corsa.
  • Malgrado siano ricerche estremamente curate ed attuali, sono ancora in numero non elevato per dare certezze assolute.
  • L’inserimento di ogni mezzo allenante va considerato all’interno di tutto il periodo preparatorio, nella sequenza e nell’alternanza dei mezzi allenanti.
  • Non tutti i soggetti possono reagire allo stesso modo allo stesso stimolo allenante. Se l’evidenza ha dimostrato (nelle condizioni delle ricerche citate sopra) la superiorità dell’intermittente per la maggior parte degli atleti, non è detto che sia così per il 100% dei runner. Ricordatevi che l’individualità svolge un ruolo fondamentale nell’allenamento.

Bene, una volta fatte queste doverose precisazioni, andiamo ora a vedere quali sono le varianti del metodo intermittente e i loro effetti allenanti principali. Noteremo come variando i parametri (lunghezza delle fasi), la monitorizzazione dell’intensità (a sensazione o GPS) e la pendenza (pianura, collinare o salita) si potrà scegliere la forma allenante non solo più adatta al periodo in cui ci si trova, ma anche più adatto alle proprie caratteristiche. Il tutto verrà spiegato con una certa semplicità, per garantire la comprensione anche per chi vuole essere “allenatore di sé stesso” e non è necessariamente un “addetto ai lavori”.

Ma cosa allena l’intermittente?

Prima di passare ai protocolli, è comunque doveroso specificare cosa allena realmente l’intermittente, al fine di comprenderne i reali benefici. L’evidenza sperimentale ha permesso di comprendere come alternando in fasi molto brevi (pari o inferiori a 30”), ritmi veloci e lenti, l’organismo riesce a sfruttare in maniera più efficiente i metabolismi rispetto a quanto accade con le ripetute.

Nella tabella sotto (estrapolata dal nostro post dedicato alle qualità del runner) abbiamo cercato di semplificare, per rendere comprensibili a tutti, quali possano essere gli stimoli indotti da un particolare tipologia di allenamento. È ovvio che non esistono “compartimenti stagni”…cioè ogni forma allenate può stimolare più qualità; ad esempio, un progressivo che combina al suo interno più intensità, è lecito pensare che alleni principalmente la Capacità di gara, ma in misura minore anche la Velocità di gara e la Resistenza Aerobica.

Clicca sull’immagine per ingrandire

Nella tabella sono cerchiate le qualità principali stimolate dall’intermittente; infatti, l’elevata intensità fisiologica (accoppiata all’andatura delle fasi veloci) stimola principalmente la Velocità di gara (soprattutto per competizioni della durata tra i 15-60’). Inoltre, i tanti cambi di ritmo hanno effetto anche sulle qualità Neuromuscolari; questo perché, dai concetti di Potenza metabolica, oggi sappiamo che ogni “accelerazione” è possibile considerarla come un “tratto in salita”, quindi avente un impatto significativo sulle qualità muscolari.

Ovviamente, altre qualità possono essere allenate in misura minore, ma a noi interessa quali sono quelle su cui può avere un’impronta maggiore, proprio per collocarlo in maniera più opportuna nel nostro piano d’allenamento. Ma andiamo ora ad analizzare i vari protocolli; leggete attentamente i prossimi paragrafi, perché troverete veramente tanti spunti interessanti ed idee per i vostri allenamenti.

Intermittente classico

Il primo dei 4 metodi che andremo ad affrontare è l’Intermittente classico, cioè quello sperimentato nella maggior parte degli studi presenti in letteratura internazionale. Tra i 4 che andremo a vedere, è l’unico che impone dei calcoli matematici per impostare i ritmi dell’allenamento; i 3 successivi invece, si baseranno sulla “percezione della fatica”, quindi saranno più semplici da organizzare. L’allenamento prevede l’alternanza di 30” alla Vamax a 30” al 70% della Vamax, per 10’; in tutto si eseguono 3 serie, con 5’ di recupero tra l’una e l’altra.

Ma cos’è la Vamax?

In teoria è una velocità (Velocita Aerobica Massima) che si ottiene grazie ad un protocollo incrementale svolto in laboratorio; fortunatamente, nel tempo diversi tecnici hanno cercato di correlare questa velocità con i ritmi che si effettuano in gara, proprio per poter utilizzare dati (velocità media della gara) che tutti possono ottenere senza andare in laboratorio. È stato quindi visto che a livello empirico, la Vamax si colloca tra il RG3000m (ritmo gara 3000m) e il RG 5000m (ritmo gara 5000m) (Christensen 2012). È però lecito ipotizzare che per un runner con caratteristiche resistenti si avvicini maggiormente al RG5000m, mentre per un runner con caratteristiche veloci al RG3000.

E se invece conosco solamente il RG10Km, grazie ad una gara recente?

Semplice, a questo punto viene incontro il foglio di calcolo Ranucci-Miserocchi; potete trovare il link per scaricarlo nella parte centrale del nostro articolo dedicato all’impostazione dei ritmi gara. Bene, una volta trovati il RG3000m e il RG5000m, conosceremo la nostra Vamax (teorica ovviamente); ma facciamo un esempio per chiarirci meglio.

Un runner che ha da poco corso una gara di 10 Km in 45’, grazie al foglio di Ranucci-Miserocchi avrà (teoricamente) un RG5000m di 4’15”/Km e un RG3000m di 4’06”/Km. Il ritmo da tenere nelle fasi veloci, sarà quindi compreso tra 4’06”/Km e 4’15”/Km. Nelle fasi lente invece la velocità sarà il 70% della Vamax; basterà dividere per 70 e poi moltiplicare per 100 i secondi/Km dei RG3000m e RG5000m; a questo link potete comunque scaricare un semplice foglio di calcolo (in excel) per fare tutti i conti necessari.

Nel nostro caso, il 70% della Vamax sarà compreso tra 5’51”/Km e 6’04”/Km; nell’immagine sotto potete vedere il riassunto dei parametri dell’allenamento.

Una volta conclusa la prima seduta, nel caso in cui venisse portata a termine senza doverla interrompere, in quelle successive è possibile incrementare la velocità delle fasi attive fino al 105% della Vamax. Nel nostro esempio il 105% del Vamax sarà compreso tra 3’54” e 4’03”.

Com’è possibile ben capire, si arrivano a stabilire i ritmi di allenamento da molti calcoli indiretti (estrapolazione della Vamax da ritmi gara, ecc.); questo ovviamente rende questo protocollo non perfettamente ottimizzato, ma comunque estremamente utile per lavorare sulla velocità di gara (in particolar modo per gare di 5-12 Km) e le componenti neuromuscolari.

Le difficoltà nello svolgere questo allenamento, sono prevalentemente dovute al monitorare continuamente i ritmi che ogni 30” devono cambiare. Prima di tutto, è necessario svolgerlo con l’ausilio di un GPS su terreno pianeggiante, poi lo stesso GPS richiede comunque qualche secondo per rilevare correttamente la velocità dopo un cambio di ritmo; di conseguenza non sarà sempre possibile monitorare correttamente la velocità, oltre a doverla controllare abbastanza spesso. Ovviamente questo non rappresenta un problema grave nel momento in cui si riesce ad avere una certa esperienza nella gestione di questi ritmi.

Ma perché allora a livello sperimentale si è sempre usato questo protocollo?

Semplice, perché la maggior parte delle sperimentazioni è stata effettuata su nastro trasportatore (Tapis Roulant), quindi molto più semplice da effettuare. Nel caso in cui si preferisca utilizzare protocolli in cui la gestione dei ritmi è gestita dalle proprie sensazioni, consigliamo di leggere i prossimi 3 metodi.

Intermittente secondo protocollo Ronnestad e coll

Questo è molto più recente (Ronnestad et al 2020 e Almquist et al 2020), e risponde proprio all’esigenza di utilizzare protocolli dotati di maggiore semplicità. La versione originale è stata sperimentata su ciclisti professionisti, ma la facilità esecutiva lo rende un allenamento da poter essere fatto anche di corsa. Anche in questo caso si divide l’allenamento in 3 serie di circa 10’ l’una, ma con recupero di 3’.

Le fasi veloci saranno di 30”, mentre le fasi lente di 15”; l’intensità delle fasi lente deve essere di corsa blanda (senza sforzo), mentre quella delle fasi veloci deve essere tale da riuscire a portare a termine l’allenamento nel migliore dei modi.

Ma cosa significa “nel migliore dei modi”?

Significa che se nella parte finale si ha un evidente calo dei ritmi veloci (a causa della fatica) significa che è stato affrontato con velocità eccessiva. In altre parole, è necessario dare il meglio di sé stessi, ma senza esagerare nella prima parte dell’allenamento per evitare un calo alla fine. Nessun ritmo imposto dal GPS, ma tutto a sensazione! Ovviamente le prime volte sarà possibile non aver bene la percezione del ritmo giusto da seguire, ma con il passare del tempo sarà tutto molto più semplice; indicativamente (ma con ampia tolleranza) si può impostare il ritmo delle fasi veloci intorno al RG5000m, cioè 10-15” al Km più veloce del RG10Km…ma è solo un’indicazione di massima.

Ovviamente questo allenamento può essere fatto anche su percorsi collinari, a patto che le discese non abbiano una pendenza tale rendere difficile correre a ritmi imposti dalla sensazione.

È un allenamento molto impegnativo, proprio perché viene richiesto all’atleta di dare il meglio di sé stessi; in ogni modo, la percezione della fatica avviene principalmente a livello respiratorio e molto meno a livello muscolare (come può essere nell’esecuzione delle ripetute). Infatti, alla fine di ogni fase veloce si può avere la sensazione di essere molto affaticati, ma i pochi secondi della fase lenta (caratterizzata da un ritmo molto blando) permettono un recupero parziale, ma sufficiente per proseguire l’allenamento. Questa è la caratteristica principale dell’allenamento intermittente; alternando brevi fasi (veloce e lente) l’organismo utilizza al meglio i metabolismi e l’ossigeno disponibile, grazie ai meccanismi della fosfocreatina e della mioglobina, limitando (rispetto alle ripetute) l’attivazione del metabolismo glicolitico che porta più facilmente verso la fatica muscolare. Per chi volesse approfondire ulteriormente l’argomento, consigliamo di leggere il nostro articolo specifico.

 Intermittente a sensazione

Se i 2 metodi approfonditi sopra erano fedelmente tratti dalla bibliografia internazionale, questo ed il prossimo provengono maggiormente dalla pratica e dall’esperienza; ciò non significa che siano di utilità inferiore, infatti rispondono maggiormente all’esigenza di utilizzare protocolli alla portata di tutti e di individualizzare gli stimoli allenanti in base alle caratteristiche del runner.

L’Intermittente a sensazione, si compone in 2 varianti: la prima è della variante semplice, mentre l’altra è la variante veloce.

Iniziamo con la variante semplice: questa nasce proprio dalla necessità di andare incontro a chi affronta per la prima volta questo tipo di allenamenti, cioè con intervalli molto brevi. La distribuzione temporale è la stessa dell’intermittente classico, cioè 3 serie di 10’ in cui vengono alternati 30” veloci a 30” lenti. I 30” veloci vengono corsi a sensazione, ad un’intensità leggermente superiore a quella che si tiene in una gara di 10Km (potrebbe quindi identificarsi con il RG5000m, ma corso “a sensazione”), mentre le fasi lente sono corse di corsa blanda (senza sforzo).

Confrontandolo con il metodo precedente, appare evidente che le fasi lente della variante semplice siano più lunghe (30” anziché 15”): ciò rende questo allenamento più facile da effettuare (se le fasi veloci sono affrontate con la stessa intensità), perché indubbiamente meno faticoso. Aiuta quindi il runner ad abituarsi a questo tipo di intervalli; è sostanzialmente molto simile ad un fartlek. Quello che è importante, è che le fasi veloci non siano troppo intense, cioè poco più elevate del RG10Km (di 10-15”/Km per chi vuole avere dei riferimenti).

Non offre comunque stimoli allenati di poco conto; analizzandolo attentamente si comprende come nel totale si corrano circa 15’ al RG5000m (approssimativamente), con 30 variazioni di velocità. È una variante da effettuare quando si vogliono velocizzare i ritmi, ma con uno stimolo che si recupera velocemente, oppure ad inizio stagione quando ancora non si ha una buona condizione.

La seconda variante (variante veloce) è più impegnativa; la distribuzione degli intervalli è la stessa (3 serie di 10’ di 30”/30” veloci/lenti), ma si corrono le fasi veloci “in maniera tale da riuscire a portare a termine l’allenamento nel migliore dei modi” (come nel protocollo Ronnestad, cioè il secondo metodo); le fasi lente di corsa blanda (senza sforzo). Rispetto alla variante semplice (nella quale si corre intorno al RG5000m…non di più), nella variante veloce si corre al meglio delle proprie possibilità, sempre prestando attenzione a non esagerare per evitare di andare in difficoltà nella seconda parte dell’allenamento. È quindi evidente che le fasi veloci saranno leggermente più intense del RG5000m, ma è difficile stabilirne di quanto, perché dipende principalmente delle caratteristiche dell’atleta.

Ripeto, è comunque bene non esagerare per non compromettere l’esecuzione dell’ultima parte dell’allenamento a causa della fatica. Per chi voglia provare questo allenamento, è bene abbia già svolto prima diverse volte la variante semplice, proprio per riconoscere quale possa essere il ritmo ideale a cui correre (a sensazione) le fasi intense.

Questo metodo offre un’impronta allenante maggiore, in particolar modo dal punto di vista neuromuscolare (soprattutto dal punto della velocità pura) rispetto a tutti gli altri, per questo motivo necessita di un maggiore tempo di recupero; in altre parole, dovrà passare più tempo (rispetto agli altri metodi) tra questo allenamento e il successivo allenamento di carico. Anche il rischio di infortuni sarà maggiore, quindi è da evitare quando non si è in perfetta forma e per chi non ha una tecnica di corsa corretta.

Questi protocolli, in particolar modo la variante veloce, sono l’ideale per runner veloci (cioè che si trovano più a loro agio nelle distanze brevi); per i runner resistenti, consigliamo il prossimo ed ultimo metodo.

Chiudiamo il paragrafo indicando come entrambe le varianti possano essere fatte sia in pianura che su terreni collinari, evitando assolutamente discese ripide o troppo lunghe.

Il fartlek in salita

Sarebbe più corretto definirlo “Intermittente in salita”, ma ho voluto lasciare il nome originale del protocollo ideato da Orlando Pizzolato. È uno dei miei allenamenti preferiti ed è ancor più elementare dei metodi precedenti; dopo una adeguato riscaldamento, si corrono 25’ in salita alternando 30” veloci a 30” di corsa blanda (senza sforzo)in maniera tale da riuscire a portare a termine l’allenamento nel migliore dei modi”. Il restante dell’allenamento lo si fa scendendo fino alla partenza di corsa blanda o lenta, senza forzare.

Ovviamente non è facile trovare salite lunghe 25’…è quindi necessario stabilire dei parametri indicativi “accessibili” come i seguenti:

  • La salita non deve essere necessariamente ripida; possono essere sfruttati anche falsopiani in salita.
  • È accettabile che siano presenti anche brevi tratti in pianura e brevissimi tratti in discesa.

È un allenamento faticoso, e sono i tratti più ripidi a mettere in maggiore difficoltà il runner; dal punto di vista mentale invece, è meno impegnativo di altri, in quanto le variazioni di pendenza (soprattutto quando si passa da tratti più ripidi a meno ripidi) permettono di “alleggerire” psicologicamente lo sforzo.

È particolarmente adatto ai runner resistenti (cioè più portati per le distanze maggiori) e a quelli che prediligono le salite. Infatti, oltre all’impatto metabolico, il Fartlek in salita allena maggiormente la forza muscolare specifica (rispetto alla velocità assoluta) aiutando i runner carenti da questo punto di vista a colmare le lacune…per questa tipologia di atleti è un vero e proprio “boost” alla propria condizione, soprattutto se affrontato 5-7 giorni prima di una gara di 5-10 Km.

Ovviamente condizione essenziale è di essere in ottime condizioni di forma (rispetto ai propri standard), quindi è un allenamento da preferire nella seconda parte della stagione; questo perché (sempre per atleti con caratteristiche resistenti) si recupera prima rispetto agli altri metodi sopra citati, proprio perché in salita l’impatto che genera microtraumi muscolari è inferiore.

Per atleti con caratteristiche veloci invece, è da affrontare con maggiore cautela.

Come inserire l’Intermittente nel proprio piano d’allenamento

Dopo aver analizzato le varianti del metodo intermittente, ora proviamo a dare indicazioni su come inserire questi protocolli all’interno della programmazione. Come abbiamo visto nel post specifico, la performance (o anche il solo correre per il piacere di farlo) dipende da come si struttura l’intero piano d’allenamento, dal recupero e dallo stile di vita.

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Nell’immagine a fianco è possibile vedere una semplificazione di periodizzazione di una stagione atletica; cerchiato in verde si nota la possibile collocazione dell’allenamento intermittente all’interno dell’intera pianificazione.

Sostanzialmente, l’allenamento intermittente permette di incrementare la Velocità di gara (in competizioni della durata compresa tra 15-60’) nel periodo che precede le competizioni (Specifico; parte alta della piramide); ciò può avvenire solamente se nel periodo precedente (quello Generale, rappresentato dalla base della piramide) si ha lavorato adeguatamente sulla resistenza aerobica e le qualità neuromuscolari.

Il vantaggio dell’intermittente, rispetto ad altre forme allenanti come le ripetute, è l’applicazione di uno stimolo allenante che si riesce a recuperare in tempo minore; questo non significa che debba essere l’unica tipologia di allenamento per incrementare la velocità di gara, ma che risponde meglio di altri alla necessità di fornire uno stimolo che viene meglio tollerato.

Chi è allenatore di sé stesso, ovviamente dovrà nel tempo sperimentare tutte le forme allenanti (intermittente, ripetute, fartlek, ecc.) al fine di comprendere quale più si confà alle proprie caratteristiche; questo perchè l’individualizzazione dell’allenamento è un passo importante verso il miglioramento di se stessi come atleti e per correre con continuità e piacere.

Come ripeterò sempre, è l’insieme degli ingredienti con la loro lavorazione a fare una buona ricetta…e non il singolo ingrediente.

Ma con che gradualità introdurre l’intermittente nel proprio piano d’allenamento?

La variante semplice del metodo a sensazione rappresenta la forma più elementare e meno faticosa da sperimentare per prima; è anche possibile introdurla precocemente nel proprio piano d’allenamento (periodo generale), magari riducendo il volume totale. Ad esempio, è possibile fare 2 serie (anziché 3) da 10’, oppure 3 serie da 6-7’. Altra buona idea potrebbe essere quella di approcciare con intervalli più brevi (una sorta di mini-intermittente) in cui le fasi siano di 15” anziché 30”; in questi casi, con 3 serie da 5’ (di 15/15” veloce/lento) si avrebbero le stesse accelerazioni/decelerazioni di un protocollo classico 3×10’, ma lavorando per la metà del tempo.

Una volta comprese le dinamiche di questo tipo di allenamento, ed entrati nel periodo specifico (parte alta della piramide), è possibile individualizzare l’allenamento utilizzando le altre varianti (ad esempio il Fartlek in salita per i runner resistenti), stando attenti che alcuni protocolli (come l’intermittente a sensazione veloce) necessitano maggiori tempi di recupero perché le fasi attive sono corse ad intensità maggiori.

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Bene, siamo giunti alla fine di questo lungo articolo di quello che ritengo un metodo d’allenamento sottovalutato, ma di estrema utilità per il runner. Se vuoi seguire tutti gli aggiornamenti della sezione running del nostro blog, accedi al nostro  Canale Telegram; sarai avvisato quando effettueremo nuove pubblicazioni ed aggiornamenti. Inoltre settimanalmente verrà riproposto un nostro articolo sull’allenamento della corsa. In più potrai scaricare la nostra guida gratuita su come scegliere, trovare ed acquistare le scarpe da running.

Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico AC Sorbolo, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

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