La ricerca del talento nel calcio

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(Aggiornato al 20/02/2023)

Parlando di talento nel calcio si rischia di creare un falso problema, cioè di dare vita a “modelli predittivi” che non hanno validità, e che non portano ai risultati sperati.

In parole più semplici, attualmente non è possibile individuare con largo anticipo chi è in grado di diventare un giocatore professionista; malgrado questo, le società professionistiche cominciano a tesserare i giocatori sin dalla scuola calcio.

Ovviamente la mia intenzione non è quella di criticare il sistema attuale (che comunque non è efficiente), ma dare un contributo con idee e spunti per chi opera a livello giovanile, al fine di ottenere la massima realizzazione da parte del futuro calciatore, qualsiasi siano le sue potenzialità.

Infatti, un approccio errato e precoce alla selezione del talento comporta un abbassamento delle probabilità che si realizzino le prospettive di chi ha realmente potenziale…oltre a danneggiare le società stesse (professionistiche e dilettantistiche).

In questo articolo partiremo da una disamina di quello che è lo stato attuale della selezione/realizzazione del talento, per poi dare idee e spunti a tutti i soggetti coinvolti in questo ambito (famiglie, società dello sport di base, club professionistici e federazione).

Non troverete quindi la soluzione alle difficoltà del calcio Italiano, ma sicuramente tante indicazioni e punti di vista.

Gli errori più comuni nella selezione del talento (cosa emerge dalla bibliografia internazionale)

La rincorsa al talento in età precoce può produrre delle conseguenze nefaste a diversi livelli; il primo è quello di illudere i giovani di avere la strada spianata verso il calcio d’elitè quando invece non è così (vi invito a guardare questo video di Massimo De Paoli). L’eventuale delusione che ne deriva (associata ad un agonismo precoce) può far calare l’interesse del giovane verso lo sport.

A livello delle società dilettantistiche di base invece, il rischio è di ricercare “visibilità tramite i risultati”, che può portare i tecnici a fare delle scelte che vanno contro le esigenze formative del giovane calciatore; le conseguenze sono l’abbandono precoce (drop-out), in particolar modo in quelle società dove non c’è condivisione di valori ed obiettivi. Queste conseguenze sono deleterie nei confronti di tutto il movimento, perché portano ad una riduzione progressiva delle squadre, e di conseguenza delle occasioni dei ragazzi per poter praticare sport.

Ma anche i club professionistici vengono danneggiati da una selezione precoce, perché sono costretti ad investire in annate in cui non è ancora possibile comprendere chi diventerà un giocatore da prima squadra.

La dimostrazione più semplice l’ha riportata Armando Verdino nel suo libro Il calcio dei Bambini: sentieri di libertà; ha semplicemente riportato l’anno di approdo al professionismo di ogni giocatore della nazionale italiana nell’anno di pubblicazione del testo (2020). L’età media di approdo è di 12 anni, ma alcuni talenti sono entrati in squadre professionistiche più tardi; ad esempio, Donnarumma, Verratti e Spinazzola a 14, Insigne ed Immobile a 15, e Jorginho e Berardi a 16 anni.

Ma prima di giungere a conclusioni, approfondiamo quello che emerge dalla bibliografia internazionale; il risultato più ricorrente che emerge, è che nei settori giovanili delle squadre professionistiche è statisticamente maggiore il numero di giocatori nati nei primi 3 mesi dell’anno.

È quindi evidente come la data di nascita (che determina un anticipo di maturazione) diventi una discriminante (probabilmente inconsapevole) nei confronti di chi ha la possibilità di accedere ad un allenamento professionistico.

Ma questo, fortunatamente, non limita la possibilità di diventare dei professionisti in età adulta; infatti, nello studio di Steingrover et al 2017 venne visto come nel mondiale del 2014 le date di nascita dei giocatori fossero equamente distribuite nella prima e nella seconda parte dell’anno, mentre negli ultimi mondiali Under 17 circa il 50% fosse nato nei primi 3 mesi dell’anno.

Il motivo per cui non è possibile estrapolare con largo anticipo chi diventerà un giocatore professionista è che nel corso di 4-10 anni le caratteristiche dei giovani cambiano (Craig et al 2012, Deprez et al 2015); cambiano con la maturazione, per questo è difficile stabilire degli indici predittivi (soprattutto in età pre-puberale e puberale) che diano risultati validi in termini di selezione del talento.

Durante il processo di maturazione, alcuni effettuano la spinta puberale precocemente rispetto ad altri; non solo, anche il risultato della crescita è diverso tra soggetto e soggetti: alcuni possono crescere maggiormente in altezza, altri in forza muscolare, ecc. Di conseguenza anche l’aspetto coordinativo e tecnico più cambiare.

Rischi ricerca talento precoce calcio

Ma non è solo l’aspetto fisico a mutare; è evidente come anche quello psico-sociale può incidere sulle motivazioni ad impegnarsi nello sport. L’educazione ha un ruolo fondamentale, ma anche aver avuto l’opportunità di fare sport senza un agonismo precoce…questo permetterà di avere maggiore motivazione nelle fasi di crescita in cui il calcio diventerà anche un impegno, e si sommerà a quello della scuola ed agli interessi che il giovane incontrerà durante la sua crescita.

È quindi evidente come si debba parlare di accorciamento dell’età di predizione; in altre parole, è possibile individuare con maggiore certezza chi ha delle potenzialità per la categoria in corso, o tutt’al più per 1-2 anni a seguire…ma ciò non permette di individuare precocemente i talenti in età evolutiva (Barraclough et al 2022).

Quali certezze possiamo attualmente avere sull’individualizzazione del talento?

Se attualmente è palese la difficoltà (se non l’impossibilità) nell’individuare precocemente il talento, è mia intenzione capire nel dettaglio il motivo, evitando di giudicare negativamente chi opera in questi ambiti; infatti, credo che chi seleziona ed allena giovani calciatori a livello professionistico sia preparato e competente, ma che probabilmente si scontri con una realtà difficile.

La revisione recente di Barraclough et al 2022 illustra in maniera molto chiara queste difficoltà, analizzando studi e ricerche sull’argomento.

Il problema principale, è che la maggior parte degli studi e ricerche sono trasversali, cioè confrontano le caratteristiche (soprattutto quelle atletiche) tra giovani appartenenti contesti professionistici (elitè) e non professionistici (non-elitè) in una determinata fascia d’età. È quindi evidente come i giovani calciatori elitè siano più prestativi (da tanti punti di vista) rispetto ai non-elitè, ma ciò non aiuta a comprendere chi, in età avanzata, potrà giocare in prima squadra.

Gli studi longitudinali sono in numero inferiore; questo tipo di studio analizza determinati indici (qualità fisico-atletiche, tattiche, tecniche, cognitive, ecc.), e, a distanza di diversi anni (da 2 a 8), cerca di correlarne i risultati con chi è diventato elitè o meno.

Partendo dal presupposto che alcuni di questi studi longitudinali hanno trovato come alcune variabili possono essere correlate alla probabilità di diventare professionista, esistono ancora molti dubbi su questo tipo di approccio. Li propongo sotto:

  • I pochi studi che hanno trovato correlazioni, le hanno trovate quando gli indici sono stati somministrati dopo i 13-14 anni. Questo evidenzia come non sia praticamente possibile identificare prima di questa età chi diventerà un calciatore d’elitè.
  • La prestazione nel calcio è multifattoriale, quindi è improponibile comprendere con pochi indici (che hanno attualmente trovato correlazioni) chi ha le potenzialità di diventare un calciatore professionista. Ad esempio, un atleta “non veloce” potrebbe essere “non selezionato”, ma tanti ottimi calciatori professionisti non sono rapidi dal punto di vista prettamente atletico.
  • Il risultato di alcuni indici potrebbe essere influenzato dall’allenamento svolto in quel periodo, piuttosto che da doti intrinseche dell’atleta.
Studio talento calcio

Tutto questo porta a concludere come il processo di selezione del talento sia quasi impossibile prima dei 13/14 anni, e che negli anni successivi richieda un approccio multidisciplinare che non tenga conto solamente di fattori prestativi, ma anche di quelli cognitivi, educativi e psico-sociali.

Nel prossimo capitolo vedremo alcune considerazioni personali che spero possano dare spunti ed idee per aiutare a far emergere il potenziale di un calciatore, qualsiasi esso sia; analizzeremo il ruolo delle società di base, delle famiglie (e del contesto psico-sociale), delle federazioni e delle società professionistiche.

Nell’articolo generale dedicato al talento sportivo abbiamo visto come in età pre-puberale sia l’ambiente a definire la probabilità di realizzare il proprio potenziale in età adulta. Per ambiente si intende tutto il processo di formazione dello sportivo, dall’allenamento strutturato, al gioco libero-spontaneo, dallo stile di vita, all’educazione ricevuta. Abbiamo anche visto come la specializzazione precoce abbia effetti estremamente deleteri nei confronti dell’espressione del talento e nell’incremento del rischio di infortuni in età evolutiva ed adulta.

Quelle riportate sopra non sono opinioni, ma frutto di ricerche e studi, oltre a quello che emerge dall’evidenza pratica; potete trovare tutto nel nostro articolo generale sul talento, compresi alcuni riferimenti importanti relativi al modello Norvegese ed alcune iniziative della Premier League.

Talento calcio

Quando ci sarà maggiore consapevolezza di come l’ambiente possa influenzare la crescita di un atleta, allora probabilmente si riuscirà ad andare incontro alle esigenze di tutti gli sportivi, compresi quelli che hanno più talento.

Tutti i soggetti coinvolti nella realizzazione dei “sogni” di uno sportivo hanno il compito di capire cosa possono fare per aiutarlo; come vedremo successivamente, il “coraggio” è la prima qualità che serve.

Il ruolo primario delle società di base

Oggi sappiamo che il divertimento e la multilateralità degli stimoli sono elementi fondamentali che permettono di emergere al talento che c’è in ogni calciatore, qualsiasi esso sia. Questo vale prevalentemente fino alla pubertà, ma anche nelle fasi di crescita successive queste variabili dovrebbero essere compresenti.

Ma perché ho scritto sopra che serve “coraggio”?

Perché oggi si tende sempre di più ad anticipare l’età dell’avviamento all’agonismo, che ovviamente va contro gli elementi citati sopra.

Sarebbe necessario invece avere il coraggio andare in controtendenza; se non l’avete fatto, leggete il modello Norvegese di avviamento allo sport, che in pratica non ha fatto altro che seguire quello che emerge da studi e ricerche.

Non solo, spesso gli istruttori non hanno la consapevolezza che la specializzazione precoce riduce la possibilità di far raggiungere al calciatore la massima potenzialità alla fine del periodo formativo. Insegnare “solo calcio” può sicuramente dare dei risultati numerici (partite vinte) a breve termine, ma come abbiamo visto nel nostro articolo sulla specializzazione precoce, incrementa il rischio di infortuni (anche in età adulta) e riduce la probabilità di esprimere tutte le proprie doti nel culmine della propria carriera.

Attività di base talento

Allora come capire se si sta lavorando nel modo più adeguato?

A mio parere è necessario stabilire degli obiettivi (misurabili oggettivamente) nel breve-medio-lungo termine al fine di far capire agli staff ed alle famiglie il modo con il quale si lavora. Riporto sotto alcune mie idee per identificare gli obiettivi in maniera chiara.

Obiettivi a breve termine

Si intendono quei dati che si possono misurare già dopo 1-2 anni; questi permettono una rapida comprensione della bontà del lavoro svolto, in particolar modo per quanto riguarda la scuola calcio.

  • Tasso di abbandono: è, a mio parere, il dato più importante. In altre parole, è il numero di giocatori che non hanno rinnovato il tesseramento nell’anno successivo, espresso come percentuale dei tesserati totale. Questo dato è fondamentale nella scuola calcio (fino agli esordienti) in quanto gli abbandoni sono sintomi che il giovane non si sta divertendo a giocare a calcio; infatti, abbiamo visto sopra che il divertimento è un elemento chiave per una buona didattica. Ovviamente poi può essere fatta anche un’analisi qualitativa degli abbandoni; ad esempio, quanti sono andati in società professionistiche, quanti in altre squadre, quanti hanno completamente smesso, ecc.

Come abbiamo visto sopra, fino a 13/14 anni è difficilissimo intuire le reali potenzialità di un calciatore, quindi è fondamentale mantenere le rose il più ampie possibili facendo appassionare i giovani allo sport ed al calcio.

Non solo, questo dato oggettivo permette dopo diversi anni di comprendere quali sono le categorie dove il tasso di abbandono è maggiore, o quali sono gli istruttori che hanno maggior bisogno di aiuto.

  • N° di istruttori/allenatori: anche questo è un parametro importante nel breve termine, perché con più istruttori si riesce a trasferire più competenze ed a essere più presenti nella didattica. Per oggettivare il numero totale di istruttori è da relativizzare al dato dei giocatori totali o a quello delle squadre. Per approfondire questa variabile, si può anche specificare quanti di questi hanno il patentino UEFA, oppure quanti sono laureati in Scienze Motorie, in Scienze Pedagogiche o dell’istruzione.

Altri dati oggettivi possono essere relativi al numero degli incontri formativi dedicati agli allenatori e la relativa partecipazione. Se qualcuno ha altre variabili che ritiene importanti, potete segnalarmele all’indirizzo mail in fondo all’articolo e valuterò se aggiungerle.

Obiettivi a medio-lungo termine

I frutti nel medio-lungo termine possono essere visibili probabilmente solo dopo 5-10 anni, e riguardano prevalentemente le categorie del Settore giovanile (Giovanissimi ed Allievi), mentre i dati sopra riportati riguardavano prevalentemente la Scuola calcio.

Di conseguenza, le stesse variabili sopra indicate (numero di giocatori ed allenatori per squadra) possono essere valutate per i Giovanissimi-Allievi per un confronto del lavoro a medio-lungo termine. Altri dati possono essere:

  • Numero di squadre e campionati svolti: più squadre si hanno e maggiore è la bontà del lavoro svolto. È da valutare anche la tipologia di campionati effettuati (regionali, provinciali, ecc.).
  • Numero di giocatori che finiscono in prima squadra: è evidente che questo dato è più difficile da oggettivare, perché dovrebbe tenere in considerazione la categoria della prima squadra ed eventualmente altre prime squadre dove possono finire i giocatori. È comunque un dato fondamentale per valutare la bontà del lavoro svolto dalla “scuola calcio” al “settore giovanile”. È un indice che può anche essere relazionato al numero totale di giocatori.
  • Numero di giocatori che finiscono in una squadra professionistica: questo dato è molto più semplice da misurare, ma è importante saper soppesare i numeri. Infatti, a mio parere, ha più valore (perché è più raro) un giocatore che passa in una squadra professionistica da Allievo, piuttosto che dalla categoria Pulcini.
  • Campionati vinti (o piazzamenti): questo è l’unico dato che riguarda i risultati, e va considerato ovviamente solo nelle categorie Giovanissimi-Allievi. Si possono valutare sia le vittorie che i piazzamenti, anche in relazione al numero di squadre del campionato. È da considerare anche la tipologia di campionato. Ricordatevi che se si lavora bene, i risultati prima o poi arrivano!

È evidente che questi dati possono rendere più oggettivo il lavoro svolto negli anni, facendo capire se si sta andando verso la giusta direzione. Come sopra, se avete altre variabili da suggerire, potete scrivermi.

Obiettivi settore giovanile calcio

È comunque vero che i numeri non possono spiegare tutta la qualità della didattica; sono i bei ricordi che i giocatori si porteranno dietro tutta la vita a rappresentare gran parte del valore trasmesso ai giovani.

Affinchè indici oggettivi e soggettivi vadano a testimoniare il buon lavoro svolto è necessario che la priorità di una società sia incentrata sulla condivisione dei valori e della didattica. Non mi dilungo ulteriormente e vi rimando all’articolo che tratta l’argomento.

Quali elementi didattici non vanno trascurati?

Con questo capitolo non voglio assolutamente essere esaustivo nei confronti di un argomento così vasto, ma voglio darvi degli spunti di approfondimento e dei riferimenti bibliografici.

  • Abbiamo già visto come la compresenza di un allenamento multilaterale sia fondamentale per l’espressione del talento e la riduzione del rischio infortuni (anche in età adulta). Allo stesso tempo è importante che il giovane si appassioni all’attività motoria a 360°, non solo quindi frequentando la società calcistica, ma anche avendo la possibilità di fare attività motoria in altri contesti in maniera spontanea, con i propri amici e familiari (vedi uno dei prossimi capitoli).
  • Studi e ricerche a carattere trasversale e longitudinale hanno visto come la capacità attentiva (durante la pratica sportiva) ed anticipatoria siano elementi fondamentali che differenziano professionisti e dilettanti. Con le dovute semplificazioni, possiamo affermare che chi ha maggiore talento è in grado di focalizzare la propria attenzione verso gli elementi del gioco che sono più rilevanti per lo sviluppo futuro dell’azione, e di conseguenza effettuare scelte tattiche più adeguate (Williams 2000, Kannekens et al 2011, Zago et al 2020). È evidente che per sviluppare questo tipo di attitudine è necessario privilegiare le attività di gioco (non solo legate al calcio), far fare esperienze il più vaste possibili (variare le attività) e dare la possibilità di sperimentare e di sbagliare (vedi articolo sulla creatività).
  • Forza e crescita: questo rappresenta probabilmente l’aspetto più delicato. Ricordo che l’OMS consiglia ai giovani di età compresa tra i 5 e 17 anni almeno 1 ora di attività motoria di intensità moderata-vigorosa al giorno più esercizi di rafforzamento almeno 3 volte a settimana. È indubbiamente difficile comprendere quale tipo di rafforzamento (per l’apparato muscolo-scheletrico) sia ottimale nelle varie categorie. Sicuramente, dalla categoria Esordienti-Giovanissimi è possibile inserire in maniera estremamente graduale esercizi semplici di allenamento ed allungamento funzionale, ma solo con la guida e/o la supervisione di personale esperto; questo rappresenta una parte importante della didattica, ma a mio parere non soddisfa le esigenze di tutta la fascia d’età compresa tra i 5-17 anni. Probabilmente, giochi con salti, in cui si tira/spinge o propedeutica agli esercizi di lotta sono i migliori la effettuare, in particolar modo nella scuola calcio.

Nei punti sopra ho inserito quelle che sono alcune parti fondamentali di una didattica; ovviamente non ho la pretesa di esser esaustivo in questo articolo, ma per chi volesse approfondire consiglio il nostro canale Telegram gratuito dedicato all’allenamento motorio nel settore giovanile.

La famiglia nel percorso di crescita del giovane calciatore

È evidente che il contesto famigliare gioca un ruolo fondamentale nell’espressione del potenziale del giovane; questo vale sia dal punto di vista educativo che motorio.

Siamo la media delle 5 persone che frequentiamo di più

Jim Rohn

Non mi stancherò mai di ripetere quanto per un giovane sia piacevole fare attività motoria (non necessariamente giocare a calcio) con i propri genitori; questo non ha solamente un impatto sulla motricità di base, ma contribuisce a rafforzare legami e ricordi che si porterà dietro tutta la vita.

Non mi dilungo ulteriormente perché ho approfondito l’argomento in altri articoli di cui lascio sotto i link; il primo tratta il ruolo genitoriale nell’espressione del talento ed il secondo il rapporto tra genitori, allenatori e società.

Come la federazione può indirizzare lo sviluppo del talento

Sul lavoro della federazione si può aprire un giudizio contrastante; da un lato, le linee guida espresse si possono considerare ottimali, in particolar modo per la Scuola calcio (dai Piccoli amici fino agli Esordienti). Infatti, non sono presenti classifiche e non vengono pubblicati risultati fino alla categoria Giovanissimi; questo è in linea con quanto emerge dalle raccomandazioni espresse nella prima parte di questo articolo, e di quanto avviene (per fare un esempio) nel modello Norvegese.

Non solo, la FIGC mette gratuitamente a disposizione l’Evolution Programme, che è una documentazione teorico-pratica estremamente vasta, per chi opera nella scuola calcio e nei settori giovanili.

Allora perché esistono continue critiche al calcio italiano?

Probabilmente perché le linee guida esistono, ma non vengono seguite; ovviamente non è mia intenzione fare una disamina critica dell’intera attività della federazione, ma suggerire alcune soluzioni.

La prima riguarda il codice comportamentale; è giusto ci sia un “codice comportamentale” ben chiaro di tutte le figure coinvolte nell’attività, cioè calciatori, tecnici, dirigenti e genitori. Quando questi non vengono rispettati, è anche giusto che esistano sanzioni adeguate. Ma ciò non deve riguardare solamente le ammonizioni/espulsioni in presenza dell’arbitro, ma anche tutti gli atteggiamenti che avvengono nelle partite dell’attività di base.

La seconda è una “provocazione”, ma spero possa far riflettere. Perché non vietare il professionismo fino alla categoria Esordienti, iniziando quindi nei club dalla categoria Giovanissimi?

Questo permetterebbe ai più giovani di crescere senza un agonismo precoce, focalizzandosi sul divertimento e sulla crescita personale-sportiva. Non solo, gioverebbe anche ai club professionistici, perché permetterebbe di concentrare le loro risorse da una fascia d’età in cui è maggiormente possibile comprendere (anche se non in forma definitiva) chi ha maggiore talento. Inoltre, potrebbero essere di sostegno alle società di base; ma questo lo vedremo meglio nel prossimo capitolo.

Un altro punto che reputo molto interessante è relativo alla formazione degli istruttori e dei tecnici; sappiamo come sia fondamentale il loro grado di preparazione, ma corsi e materiale formativo gratuito non sono sufficienti per una formazione continua. Perché non viene imposto (almeno nell’attività di base) un colloquio di confronto tecnico dopo ogni partita tra i 2 tecnici/istruttori delle squadre “rivali”?

Questo per confrontarsi sui propri metodi di lavoro e di come questi hanno influito sulla partita, ma soprattutto come influenzano l’apprendimento dei giocatori. Sicuramente questo approccio richiede un cambio di mentalità, nel vedere il tecnico della squadra avversaria come un “collega”, e non solamente come un “avversario”; ma da un confronto settimanale con gli altri tecnici, non può nascere altro che una crescita costruttiva di tutto il movimento…che è quello che vuole la federazione.

Questo non avrebbe nessun costo e nessuna necessità di strutture, ma solo la disponibilità dei tecnici/istruttori di fermarsi 15/20’ dopo la partita per confrontarsi.

Poi alcuni potranno “storcere il naso” a tale idea, perché non desiderano condividere le proprie metodologie con altri…io personalmente sarei invece molto contento di confrontarmi, perché avrei la consapevolezza di imparare ogni settimana qualcosa di nuovo, e diventare un allenatore migliore per i giocatori che alleno.

Spunti ed idee per la FIGC

Come ripetuto sopra, è necessario avere coraggio di applicare idee costruttive e rompere gli schemi della routine attuale, se si vuole dare una svolta al calcio italiano.

Calcio professionistico e cura del talento

L’obiettivo dei club dovrebbe essere quello di selezionare e formare i giocatori che hanno determinate potenzialità; ora sappiamo che potrebbe essere inutile iniziare questo processo precocemente, ma sarebbe più opportuno approcciare al talento dopo i 12/14 anni.

Quale ruolo potrebbero avere quindi le squadre professionistiche nelle annate precedenti?

Rispondo con un esempio legato alla Premier League che dal 2014 investe nella formazione scolastica diversi milioni di sterline l’anno, non solo nell’educazione motoria, ma anche in tutto quello che ruota intorno alla crescita personale dei giovani.

Se quello che viene considerato il miglior campionato di calcio al mondo effettua questo tipo di investimento, non lo fa certamente per marketing, ma perché ha la consapevolezza che nella fase pre-puberale non sono l’agonismo o la specializzazione precoce a facilitare l’espressione del potenziale di un futuro atleta; è invece la formazione sportivo-culturale a promuovere l’espressione del talento.

Se, come ipotizzato sopra, si vietasse il professionismo fino ai 12 anni, sarebbe evidente come l’obiettivo delle squadre professionistiche (per le annate della scuola calcio) diventerebbe quello di investire sulla crescita culturale-sportiva dei giovani dei territori limitrofi, in particolar modo:

  • Promuovendo l’educazione fisica scolastica
  • Fungendo da supporto formativo alle società che si occupano dello sport di base con programmi multilaterali (abbiamo accennato sopra all’importanza della multilateralità)
  • Favorendo la costruzione di impiantistica aperta a tutti (campetti, parchi, ecc.) dove i giovani possono praticare attività motoria con i propri amici o familiari.

Questo tipo di investimenti, a mio parere, avrebbe un grande ritorno a medio-lungo termine, perché aumenterebbe il numero di praticanti, e di conseguenza la probabilità di esprimere talenti estremamente motivati, perché non sottoposti ad un agonismo precoce.

È evidente che alla luce di tutte le considerazioni fatte sopra, quello dello scouting è più un’arte che una scienza, che deve avere un aspetto multidisciplinare, cioè considerare diverse sfere del giovane (non solo quella sportiva) come quella psicologica, sociale ed educativa. Non solo, richiede anche un monitoraggio a lungo termine dei potenziali talenti, al fine di intuirne la potenziale crescita sportiva e personale.

Per chi volesse formarsi ed informarsi su questa difficile attività, consiglio il testo di Marco Zunino, Manuale per l’osservatore calcistico.

Conclusioni e approfondimenti

Ambizione, motivazione, intelligenza motoria, cultura dell’impegno e del gruppo sono elementi della personalità senza i quali è difficile emergere. Allo stesso tempo, le caratteristiche psico-sociali dell’ambiente nel quale è immerso il ragazzo (famiglia, squadra, scuola, amici, ecc.) rappresentano il “sostegno” sul quale poggia il talento del giovane durante i vari momenti dello sviluppo.

È quindi evidente che quando si parla di talento, non si parla solo di calcio (o solo di sport), ma di tutte quelle sfaccettature che aiutano il giovane ad esprimere il suo potenziale…qualsiasi esso sia.

È questo di cui si dovrebbe occupare la formazione sportiva, in particolar modo l’attività calcistica di base, che dovrebbe essere supportata dalla federazione e dai club professionistici.

A mio parere nel calcio odierno si dovrebbe essere maggiormente consapevoli di quelli che sono gli elementi che permettono al giovane calciatore di crescere al meglio (per esprimere il suo potenziale in età adulta), ed allo stesso tempo mettere le sue soddisfazioni e la sua felicità davanti alle ambizioni dei tecnici e degli allenatori.

Se volete approfondire l’allenamento motorio e calcistico nel settore giovanile potete accedere gratuitamente al Canale Telegram dedicato all’allenamento motorio ed atletico nel settore giovanile dal quale potete scaricare gratuitamente il breve manuale dedicato all’argomento; non solo, sarete informati su tutte le novità del nostro blog (aggiornamento di articoli e nuove pubblicazioni) oltre a poter leggere i contenuti esclusivi dedicati agli iscritti al canale.

Autore dell’articolo: Melli Luca, preparatore atletico ASD Monticelli Terme, istruttore Scuola Calcio MT1960 ed Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto. Email: melsh76@libero.it

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