Il ruolo del preparatore atletico “moderno” nelle squadre dilettantistiche

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(Aggiornato al 02/11/2019)

Con l’avvento del concetto di Potenza Metabolica è migliorata la comprensione del modello funzionale del calcio e di conseguenza anche degli aspetti dell’allenamento atletico.

In ambito dilettantistico, il tempo limitato a disposizione riveste una variabile fondamentale che condiziona l’allenamento atletico (contrariamente ai settori professionistici); per questo motivo, il preparatore atletico che lavora in questi contesti deve avere un gran senso critico nella scelta della qualità (specificità allenante) e quantità (tempo a disposizione) dei mezzi proposti. Deve avere una

dettagliata conoscenza della tecnica e della tattica calcistica, al fine di sapere percepire-valutare (anche senza mezzi tecnologici) visivamente le componenti biomeccaniche (il cervello lo possiamo ancora considerare come il miglior analizzatore biomeccanico esistente), atletiche e cognitive del calcio, al fine di supportare al meglio l’attività dell’allenatore.

Riportiamo sotto, quelle che sono, a mio parere, le competenze specifiche che deve avere un preparatore atletico che lavora in ambito dilettantistico.

1) MINIMIZZARE IL TEMPO E MASSIMIZZARE L’EFFETTO DELL’ALLENAMENTO GENERALE A SECCO

Anche con l’avvento di una maggior conoscenza del modello funzionale, l’allenamento generale mantiene una porzione importante dell’allenamento atletico, per un’adeguata prevenzione degli infortuni, per stimolare adeguatamente le massime potenze (metaboliche e neuromuscolari) ed a sostegno della coordinazione. Questi mezzi allenanti devono rispondere ai criteri di specificità della disciplina.

Carichi applicabili in un contesto dilettantistico

2) SAPER PROGRAMMARE E SOMMINISTRARE L’ALLENAMENTO ATLETICO SPECIFICO IN COLLABORAZIONE CON L’ALLENATORE

Saper fondere tecnica-tattica e componenti atletiche nello stesso mezzo, permette di massimizzare lo stimolo allenante; unire le competenze dell’allenatore (variabili tattiche significative per il gruppo considerato) con quelle del preparatore (variabili che mantengono un’intensità specifica adeguata) è fondamentale nello stabilire i mezzi allenanti. Ovviamente ciò implica il dover abbattere la barriera concettuale che vede preparatore e allenatore lavorare e programmare l’attività separatamente. Questo non riguarda solamente la programmazione degli allenamenti che hanno finalità atletico-tattica, ma anche l’adeguamento dei carichi di lavoro a secco a quelli somministrati dall’allenatore, al fine di evitare sovraccarichi ed infortuni. Infatti, uno dei rischi maggiori, nei casi di scarsa comunicazione/interazione tra allenatore e preparatore, è quello di eseguire carichi settimanali eccessivi o insufficienti.

Altro aspetto collaborativo che ritengo importante è quello con il fisioterapista/massaggiatore della squadra; la gestione degli atleti infortunati (o anche con fastidi che possono propendere ad un incremento del rischio) dovrebbe seguire una priorità che va verso la salute dell’atleta, e non la presenza nella partita più prossima; è un approccio che paga nel medio-lungo termine, cioè sull’andamento di tutto il campionato.

3) SAPER LAVORARE ADEGUATAMENTE SULLA PREVENZIONE DEGLI INFORTUNI

Mentre le squadre professionistiche hanno sufficiente tempo a disposizione per effettuare tutte le componenti dell’allenamento, nei dilettanti è fondamentale “minimizzare il tempo e massimizzare gli effetti” di tali interventi. Per questo motivo, il saper includere nell’allenamento generale stimoli che vanno in questa direzione (come la rapidità coordinativa, l’allenamento funzionale, un riscaldamento adeguato, ecc.) è fondamentale. È anche da ricordare che la fatica è una delle variabili che va ad incidere sul tasso di infortuni, quindi il carico dell’allenamento deve essere tale da preparare adeguatamente il giocatore al match. In Promozione, ad esempio, i carichi metabolici e neuromuscolari sono del 15-40% inferiori rispetto ai professionisti (Pasini 2015), ma la partita dura comunque 90’, ed il tempo per allenarsi è palesemente minore; da questo è possibile capire come sia fondamentale la ricerca del giusto compromesso tra volume ed intensità, finalizzato anche alla prevenzione infortuni.

4) SAPER PROGRAMMARE RISCALDAMENTI TECNICI A DIFFICOLTA’ ED INTENSITA’ PROGRESSIVA

Mentre la tecnica di base acquisita difficilmente viene “dimenticata”, la stabilità di questa in condizioni di fatica e rapidità deve essere costantemente allenata, affinchè il rendimento in campo sia adeguato. Il dedicare la prima parte d’allenamento a questo tipo di variabile (da parte del preparatore) a mio parere è fondamentale anche perché permette all’allenatore di potersi concentrare sulle altri parti dell’allenamento. A questo link potete vedere una trattazione più completa sull’argomento.

5) SAPERSI DISTRICARE TRA CARENZA DI MEZZI E CONDIZIONI DEI CAMPI

Condizione essenziale affinchè le carenze strutturali non diventino una “scusa”, ma uno “stimolo” a trovare soluzioni allenanti alternative che abbiano allo stesso tempo impronte significative. Tempo fa trovai in un video una frase interessante di Massimo de Paoli: “la differenza non la fanno i mezzi, ma le persone”.

Ma quali sono gli aspetti più difficili?…ma anche quale deve essere il “punto di forza” di ogni preparatore

Mi limito a riportare la mia esperienza, affinchè possa essere utile per gli altri. Il riuscire a somministrare carichi sufficientemente elevati, minimizzando il rischio di infortuni, è sicuramente la “sfida” principale del preparatore atletico; il tutto considerando sempre anche il carico effettuato dall’allenatore. Pensate a come velocemente oggi (anche solo rispetto a 15-20 anni fa) circolino i contenuti grazie al web ed ai social; l’accesso alla competenza non è più un limite come poteva esserlo una volta, quando vi erano pochi testi a disposizione su cui approfondire. Quindi è facile cercare e trovare mezzi allenanti da applicare ai propri giocatori, basta solo pensare alla mole di informazioni presente sul sito laltrametodologia.com. La difficoltà sta nel somministrare in maniera adeguata i mezzi, nel contesto di tempo e strutture a disposizione…in relazione al gruppo considerato. Infatti, aver la possibilità di lavorare più anni con la stessa società, permette sicuramente di conoscere meglio i singoli atleti e fare in modo che questi si abituino più velocemente ai carichi di lavoro. Competenza, esperienza, intuito e creatività sono sicuramente le doti maggiormente necessarie ad un preparatore.

Ma quale deve essere il punto di forza di ogni preparatore che lavora a livello dilettantistico?

A mio parere è “l’allenamento della coordinazione”; si perché in un contesto in cui il tempo a disposizione è sempre poco, lavorare su questa qualità ha ripercussioni positive su tanti aspetti della performance, come la gestualità tecnica, l’efficienza dei movimenti (e quindi la prevenzione infortuni e la potenza aerobica) e la rapidità. Non solo, molti aspetti coordinativi del movimento hanno un grado di stabilità maggiore nel tempo rispetto ad altre qualità come la potenza aerobica; per questo motivo, a mio parere, è possibile incrementare il carico di lavoro coordinativo (soprattutto tramite un aumento della difficoltà esecutiva e dell’intensità) durante la stagione, con miglioramenti evidentemente progressivi. Ma attenzione, affinchè ciò sia possibile, è da ricercare un continuo “innalzamento dell’asticella” dal punto di vista delle difficoltà richieste; questo richiede una continua ricerca ed approfondimento dei mezzi e varianti da utilizzare, che porta via diverso tempo in sede di programmazione. Per approfondire, potete leggere il nostro articolo sulla rapidità coordinativa.

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Autore dell’articolo: Melli Luca (melsh76@libero.it), istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960, preparatore atletico AC Sorbolo e Istruttore di Atletica Leggera GS Toccalmatto.

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