Calcio e Talento. L’altra faccia della medaglia: il drop-out (abbandono della pratica calcistica)

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Nel primo post sulla variabilità genetica applicata alle discipline sportive, abbiamo visto come i risvolti applicativi di questa materia fossero utili non tanto nella selezione del talento, ma per comprendere in metodologia d’allenamento le qualità più o meno modificabili con il training. Nel post sul talento nel calcio invece abbiamo approfondito se e quanto è possibile, in età evolutiva, predirre tramite i modelli predittivi lo sviluppo futuro del calciatore introducendo il concetto dell’accorciamento dell’età di predizione. Oggi toccheremo invece un tasto delicato, cioè quello dell’abbandono precoce della pratica calcistica, analizzandone le possibili cause e gli effetti.

DROP-OUT E CAUSE

Esistono diverse ricerche (prevalentemente formate da “interviste” con risposte aperte o multiple) che tendono ad elencare le cause di questo fenomeno. Solitamente le variabili vengono raggruppate in Variabili intrinseche (cioè relative al vissuto della disciplina) o Variabili Estrinseche (fattori esterni alla pratica sportiva).

Variabili Intrinseche:

  • Giocare poco
  • Scarso rendimento
  • Poco divertimento
  • Cattivo rapporto con allenatore
  • Infortuni
  • Troppa enfasi sui risultati (tensioni eccessive)
  • Ritardo di maturazione.

Variabili estrinseche: in questo caso sono solitamente fattori sociali (famiglia, ecc.) che non avvantaggiano la pratica sportiva, altri interessi, studio, ecc.

L’adolescenza una volta era considerata l’età critica in quanto il ragazzo tende a reclamare la propria libertà (risvolti sociali), mentre con l’inizio dell’attività lavorativa (juniores ð seniores) i risvolti sono prevalentemente professionali. Oggi questo fenomeno è sempre più diffuso anche nella Scuola Calcio (I° Elementare – II° Media); per questa fascia d’età, le linee guida della FIGC e della UEFA sono particolarmente chiare, basta vedere sotto i punti “Carta dei diritti dei ragazzi allo sport” pienamente sottoscritta da questi organi.

Allora perché, malgrado le linee guida in questa fascia d’età siano rivolte alla pratica “per tutti”, si assiste ad un numero così alto di abbandoni? L’elenco delle “cause” fatte sopra fornisce solamente un’idea, senza analizzare quelle che sono le variabili dipendenti (come può essere il fatto che il bambino “giochi poco”), ma soprattutto quelle indipendenti (come il fatto di dare importanza da parte di alcune società al risultato sin dai Pulcini). Ad un’analisi più approfondita (soprattutto per chi opera in questo ambito) è chiaro che

un bambino smette di giocare a calcio quando vengono meno il divertimento e l’autostima (cioè quando non si va incorno ai bisogni dei bambini)

e ciò, avviene quando

le strategie delle società sono orientate prevalentemente al successo e alla visibilità!

Per fortuna non tutte le Società sono orientate verso queste “politiche”, in particolar modo le “Scuole calcio certificate”. Ma le colpe non sono solo delle Società, ma anche degli allenatori/istruttori in quanto rappresentano l’autentico contatto tra la pratica calcistica e il bimbo; anche in questo caso ci sono istruttori/allenatori che rispettano i “diritti” dei bambini ed altri meno. Spesso si punta sulle “competenze” (titolo di studio, esperienze lavorativo) del personale, che ovviamente sono fondamentali, ma si trascura un altro aspetto fondamentale, cioè che

ogni allenatore con le sue scelte e i suoi comportamenti lascia un’impronta profonda sull’autostima del bambino, e questo è tanto più evidente quanto il giocatore è giovane.

Indipendentemente dalle conoscenze motorie-calcistiche dell’allenatore/istruttore, questi dovrebbe rendersi conto che le sue azioni devono essere orientate esclusivamente verso il bene dei bambini e non verso il proprio successo/immagine; insomma è necessario essere “uomini” prima che “allenatori”!! In questo caso, le soddisfazioni dal punto di vista umano saranno impagabili! Ovviamente, chi fa le spese di politiche giovanili errate e di istruttori/allenatori “poco preparati” sono i bambini meno “dotati”.

La capacità di mettersi in discussione è l’elemento fondamentale che evidenzia un bravo allenatore/istruttore; a tal proposito, vi invito ad ascoltare solo 35” (da 4’40” a 5’15” del video) dell’intervento di Starnone a “Vieni via con me”. Tale intervento riguarda ovviamente la Scuola, ma i concetti espressi possono essere riferiti allo stesso modo alla Scuola Calcio.

IL BURN-OUT, CIOÈ L’ABBANDONO DA PARTE DEL TALENTO

L’abbandono della pratica sportiva del “Talento”, cioè del soggetto che è stato introdotto in un ambiente che mira allo sviluppo sportivo professionale, rappresenta un fenomeno che apparentemente ha poco a che fare con il drop-out; infatti le cause che spesso sono riportate sono:

  • Lo stress (ansia, insicurezze, ecc;) rappresenta una fonte di malessere per atleti giovani non ancora in grado di fronteggiarlo, in particolar modo per le ragazze che fanno sport estetici, mentre negli sport di squadra il gruppo può fare da cuscinetto.
  • A questo si aggiunge lo squilibrio di richiesta tra l’allenamento e l’età biologica.
  • Infortuni derivati da una specializzazione precoce che riduce la formazione generale e quindi il potenziale dell’atleta e di conseguenza la possibilità di “cambiare sport”.
  • Segnali discordanti da allenatori, genitori, dirigenti e personale che ruota intorno ai ragazzi che non permettono al soggetto di farsi un’idea di quello che desidera; ciò porta al fenomeno dell’isolamento adolescenziale sia nei confronti dei propri pari-età che dei propri compagni/avversari.
  • Infine eccessive richieste antropometriche/alimentari per alcuni sport femminili.

Personalmente sono dell’opinione che se un ragazzo ha ben chiaro cosa sia l’allenamento di alta qualificazione e decide con consapevolezza di non volerne prendere parte perchè nella vita desidera raggiungere altri obiettivi che ritiene possano renderlo più felice, allora non c’è niente di male! Le problematiche insorgono quando “l’ambiente” che lo circonda (società sportiva, famiglia, tecnici-preparatori, ecc.) è responsabile di una cattiva gestione atletica e psicologica e fa insorgere nel ragazzo confusione e stress eccessivo (ansia). Di fronte ad una situazione del genere, un soggetto che a causa della giovane età non è in grado di gestire tali stimoli malsani, può andare facilmente in confusione ed abbandonare la pratica sportiva anche se questa, nel profondo, rappresenta per lui fonte di felicità e motivazione. Per questi motivi chi opera in questi settori dovrebbe essere pienamente a conoscenza di questi fenomeni per fornire al ragazzo le migliori “opportunità” di far le scelte con massima consapevolezza e competenza.

LA GESTIONE DEL TALENTO DEL CALCIO IN ITALIA

L’argomento riterrebbe uno spazio ben superiore a quello di un post e l’intervento di personale di diverse competenze. Mi limito di dare alcuni spunti che possono essere poi discussi con interventi:

  • Guardando quello che avviene recentemente negli altri paesi, sembra che gli apici di una Nazione dal punto calcistico, avvenga solo dopo che la Federazione calcistica nazionale inizi progetti Federali dedicati al calcio giovanile (Centri Federali). L’aspetto più importante di questo tipo di gestione è che la federazione di riferimento nelle sue attività mette al secondo posto le esigenze dei club rispetto alla crescita del calciatore (aspetto che oggi, in Italia sarebbe impensabile); vi invito a questa interessante lettura sui vecchi Centri di Formazione Francesi.
  • Gestioni analoghe a quelle dei centri Federali sono state intraprese recentemente in Italia per alcuni sport minori nei quali viene data una grande importanza allo sviluppo giovanile della disciplina indipendentemente dalle esigenze dei club; riportiamo come esempio le esperienze della Combinata Nordica (per gli sport individuali) e del Rugby (per gli sport di squadra).
  • Se i Centri Federali sarebbero l’ideale per lo sviluppo dei calciatori (talenti e non), perché in Italia ce ne sono solo 2?

CONCLUSIONI

L’abbandono della pratica sportiva avviene quando questa non rientra più nei bisogni di chi la pratica, per i bambini quando viene meno il divertimento e l’autostima e per i ragazzi (compresi quelli inseriti nelle squadre professionistiche) la chiarezza d’intenti e l’autostima. Malgrado il calcio in Italia sia ancora lo sport principale, non è più possibile “vivere di rendita”, ma strutturare programmi Federali in grado di seguire i giocatori più talentuosi indipendentemente dalle esigenze economiche e di visibilità delle società.

Per Approfondire

  • Malina RM. Sviluppo del talento nello sport: concetti di base. Atletica studi n. 1/2009. pp 3-18
  • Malina RM. Sport giovanili organizzati; Parte 2: Rischi della potenziale pratica. Atletica studi n. 1-2/2010. pp 3-13

Autore dell’articolo: Melli Luca, istruttore Scuola calcio Audax Poviglio (melsh76@libero.it)

 

 

 

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