Aggiornamenti dal mondo scientifico del calcio

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Inauguriamo oggi una nuova rubrica che ha come scopo principale quello di aggiornare chi segue il sito sui risultati delle ultime ricerche che possono avere evidenze rilevanti per gli operatori del nostro settore. Ovviamente non ci limiteremo a citare e riassumere le ricerche che andremo a riportare, ma cercheremo di fare un’analisi critica che tenga conto anche di altre pubblicazioni sull’argomento.

Speriamo inoltre che questi interventi possano essere fonte di discussione ed approfondimento per tutti i frequentatori del sito.

Correlazione tra salti unilaterali/bilaterali e prestazioni di sprint

Come citato nell’articolo sui test per la capacità di salto, attualmente si conosce molto poco sulla relazione tra capacità di salto e prestazioni di sprint nel calcio.

In questo articolo sono state analizzate le correlazioni tra i risultati di test di salto (orizzontali e verticali, da fermo e dall’altezza di 20 cm) e prestazioni sui 10m e 25m in calciatrici di Prima divisione. Il risultato più evidente è che non esistono correlazioni tra i salti bilaterali (cioè a piedi pari) e le prestazioni di sprint. Esistono invece moderate correlazioni tra alcuni risultati dei salti effettuati con una sola gamba (cioè unilaterali) e prestazioni sui 10-25m. I risultati di questa ricerca rappresentano ovviamente un punto d’inizio (anche perché fatto solamente su calciatrici) per ulteriori ricerche sull’argomento, ma da questa possiamo dedurre che è

la valutazione delle capacità neuromuscolari tramite i test di salto è preferibile effettuarli in maniera unilaterale e tramite salti effettuati sia in alto che in lungo, che da altezze di 20 cm.

Per approfondire

Mancata validità nella misurazione della frequenza cardiaca nelle mini-partite per lo sviluppo delle qualità aerobiche

L’utilizzo delle mini-partite per lo sviluppo delle qualità aerobiche (potenza aerobica) del calciatore parte dal presupposto che durante questo tipo di esercitazioni, la frequenza cardiaca rimanga intorno a valori simili a quelli rilevati durante le esercitazioni a secco di corsa. Altro prerequisito è che ci sia linearità (cioè proporzionalità) tra la frequenza cardiaca (fc) e il consumo di ossigeno (Vo2) che è il vero indicatore biologico dello stimolo biologico allenante. In altre parole, lo stimolo/indicatore biologico allenante è il Vo2 (cioè l’ossigeno utilizzato dal corpo), ma siccome è difficile da misurare si usa (per monitorarlo) la frequenza cardiaca partendo dal presupposto che questa, nelle mini-partite, sia proporzionale al Vo2 (analogamente a quello che avviene nelle corse lineari).

La difficoltà di misurare il Vo2 nelle mini-partite è dovuto al fatto che i misuratori di Vo2 fino a qualche anno fa erano piuttosto ingombranti e non era possibili utilizzarli durante le partite. Con l’avvento di misuratori meno ingombranti è stato possibile il loro utilizzo sul campo, anche se attualmente i risultati delle poche ricerche non hanno seguito riscontri in ambito applicativo. Infatti quello che emerge dal punto di vista scientifico, è che durante una partita (come nell’arco totale dell’allenamento) non viene rispettata la linearità attesa tra fc e Vo2; infatti Gatterer (vedi Approfondimenti) vide che la fc media durante i 2 tempi di una partita era intorno all’87% di quella massima, mentre il Vo2 era solamente il 56-61% del Vo2massimo (Vo2max), almeno il 10% in meno di quello teorico atteso (70%) dalla linearità tra Vo2/fc. Malgrado siano necessarie altre ricerche e altri dati per avere le idee più chiare, si può attualmente affermare che l’utilizzo della fc per monitorare l’intensità delle mini-partite non è valida e che sovrastimi l’impegno aerobico dell’esercitazione. Non a caso è stato riportato da alcuni preparatori che l’utilizzo di questi mezzi non è sufficiente per il mantenimento del potenziale aerobico ottenuto con quelli a secco.

Attualmente non è possibile stabilire l’effetto allenante delle mini-partite tramite il monitoraggio della frequenza cardiaca; ciò ridimensiona l’efficacia di questi mezzi per lo sviluppo del potenziale aerobico del calciatore.

Per approfondire

 

Efficacia nell’utilizzo di indumenti raffreddanti prima di partite giocate in ambiente particolarmente caldo

L’utilizzo di indumenti raffreddanti nasce in ambito lavorativo e militare per consentire di eseguire certe attività in ambiente particolarmente caldo/umido senza risentire dal punto di vista medico/fisiologico della situazione ambientale. Successivamente nasce l’idea di far indossare questi “gilet” nel pre-gara di competizioni di endurance di breve-media durata, per il fatto che in ambienti particolarmente caldi l’accumulo di calore limita fortemente tali prestazioni. Infatti, la performance eseguita in ambienti estremamente caldi e umidi è influenzata (oltre che dai metodi raffreddamenato/reidratazione e dal grado di allenamento/acclimatazione) anche dalla temperatura iniziale, che influenzerebbe la possibilità di accumulare calore fino ad una temperatura centrale limite oltre la quale sarebbe particolarmente marcato il decadimento della performance (vedi Review di Tucker).

Nel calcio questa pratica è ancora poco diffusa, come lo sono le conoscenze scientifiche applicate alla disciplina. Clarke e coll (2007) per primi, applicarono, prima di un test (Temperatura > 30°C) che simulava una partita di calcio, per 1 ora un indumento raffreddante (gilet) a 12 giocatori di calcio; la stessa cosa fecero nell’intervallo. Dopo la partita/simulazione effettuarono un test per vedere quanto gli atleti erano in grado sostenere un intensità elevata di corsa (Test ad esaurimento). Nelle condizioni sperimentali (cioè con il raffreddamento pre-partita e durante intervallo) i calciatori riuscirono a sostenere l’intensità del test ad esaurimento per il 22% in più rispetto alle condizioni di controllo (senza indumenti nel pre-partita).

In altre parole,

è il raffreddamento pre-partita (e durante l’intervallo), è stato in grado di diminuire la temperatura media durante lo sforzo (in ambiente caldo/umido), migliorando la capacità di eseguire alte intensità dopo la partita/simulazione evidenziando una maggiore tolleranza alla fatica.

Ovviamente sono necessarie ulteriori ricerche sull’argomento per avere un giudizio più completo rispetto all’applicazione di queste metodiche nell’ambito del calcio, in particolar modo:

1) Per vedere quali siano le condizioni ambientali (temperatura/umidità) che possano permettere vantaggi con questa pratica.

2) Di quanto debba essere tenuta “bassa” la temperatura (centrale o periferica) affinché possano esserci benefici in termini di performance.

3) Quali possano essere, eventualmente, gli effetti avversi di questa metodica.

Per approfondire

Autore: Melli Luca allenatore Scuola calcio Audax Poviglio (melsh76@libero.it)

 

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