Running: come calcolare ed impostare il ritmo gara

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(Aggiornato al 08/07/2024)

Dividete una gara in 2 parti, e vedrete come la maggior parte dei runner amatori corre più lentamente il secondo settore rispetto al primo; se andiamo a vedere invece a livello di Top runner, scopriamo che negli ultimi record del mondo della maratona, la seconda parte è stata più veloce della prima.

Allo stesso modo, se guardiamo alla TV una maratona o una corsa su strada, vediamo che chi vince, solitamente riesce ad aumentare la velocità nel finale di gara, oppure ha un calo minore rispetto agli altri.

La differenza rispetto agli “avversari” diretti (cioè chi ha un tempo ipotetico molto simile al proprio) lo si fa impostando il ritmo della gara nella maniera più adeguata.

Ma attenzione, di una corretta impostazione del ritmo gara non ne beneficia solo il cronometro o il piazzamento (che per un amatore può avere anche un’importanza relativa), ma anche il divertimento e il piacere di correre.

Infatti, ogni runner nella propria esperienza conserva sicuramente ricordi di competizioni alle quali è arrivato negli ultimi Km stremato, facendosi superare da diversi atleti; in altre gare invece sarà capitato il contrario, cioè di finire pimpanti staccando i propri avversari diretti e sopravanzando chi invece era davanti.

In quale delle 2 tipologie di prestazioni (indipendentemente dal tempo finale) vi siete divertiti di più? Quale delle 2 performance vi ha lasciato, nelle settimane successive, un ricordo più bello e maggiore fiducia nelle vostre capacità?

Da questi elementi è possibile comprendere che indipendentemente dal fatto che gareggiate per il tempo, per il piazzamento, o per il solo piacere di farlo, è importante sapere calcolare ed impostare correttamente il ritmo gara.

Attenzione, tra “calcolare” ed “impostare” c’è una certa differenza: il calcolo del ritmo gara si ottiene da dati numerici, come può essere da prestazioni recenti o fogli di calcolo nel caso in cui si passi da una distanza ad un’altra (come dai 10 km alla maratona); è praticamente un semplice calcolo matematico. Impostare il ritmo gara invece tenere in considerazioni altri aspetti come il clima, le sensazioni del giorno della gara, ecc.

In questo post, andremo a vedere qual è il foglio di calcolo più adeguato (e come utilizzarlo) per “calcolare” la velocità ideale della competizione, e le variabili che permettono successivamente di “impostare” il corretto ritmo gara.

Di questo, ne beneficeranno sia i podisti alle prime armi (che impareranno a gestirsi in competizione), che runner più esperti, consentendo loro di lavorare sui marginal gains (guadagni marginali) tramite una maggiora consapevolezza delle strategie di gara.

Le nozioni presenti in questo articolo sono veramente tante, per questo consiglio di leggerlo con calma, anche in più momenti.

Relazione tra distanza e velocità di gara

Se ho un primato di 50’ sui 10 Km, quanto posso valere sulla mezza? Ecco questa è la risposta che permettono di ottenere diversi fogli di calcolo, cioè estrapolare un tempo finale ipotetico, partendo dalla performance su una distanza diversa. Ma quanto sono affidabili questi calcoli? Facciamo un esempio.

Nel grafico sopra è rappresentato l’andamento dei primati di Eliud Kipchoge (detentore del record del mondo della maratona) dai 1500m alla maratona; non spaventatevi, è un grafico molto semplice e lo spiego subito. Sull’asse orizzontale è rappresentata la distanza di gara (in metri), mentre in quello verticale la velocità (Km/h); la linea blu rappresenta l’unione dei punti delle varie velocità associate ai suoi primati sulle varie distanze (1500, 5000, 10000m, mezza e maratona) prendendo i dati da Wikipedia. Bene, questo credo sia abbastanza chiaro.

La formula in blu rappresenta invece il modello di calcolo estrapolato dalle sue performance; se ad esempio, volessi sapere la performance (cioè la velocità) su una distanza mai corsa, come i 30 Km, basterebbe inserire al posto di “x” all’interno della formula il valore 30000, cioè i metri della competizione da cui si vuole estrapolare il ritmo ipotetico. Nel nostro caso, darebbe 21.05 Km/h.

La formula in bianco invece (r² = 0.9911) indica quanto la formula è aderente alla realtà; nel caso in cui fosse = 1 sarebbe perfetta, ma anche il valore di 0.9911 è ottimo. L’andamento della formula è espresso dalla riga tratteggiata bianca.

Nell’immagine sopra invece, è stato fatto lo stesso procedimento per i primati di Francesco Panetta, vincitore dei Mondiali di Atletica di Roma (1987) sulle 3000 siepi. Come potete vedere, il suo modello estrapolato (formula in blu) è abbastanza diverso da quello di Kipchoge; probabilmente è dovuto al fatto che, malgrado abbiano entrambi partecipato sia a gare su strada che di mezzofondo, uno (Eliud) ha dato il suo meglio in maratona e Francesco nelle gare su pista.

Questo significa che atleti d’elitè con diverse caratteristiche hanno modelli (cioè formule di riferimento) differenti; provate ad immagine quanto possano essere diversi i modelli tra i runner amatori, in cui sono presenti non solamente atleti con caratteristiche differenti, ma anche con training (riferiti soprattutto al numero di allenamenti settimanali) eterogenei.

Da qui è possibile comprendere come questi modelli di calcolo non siano assolutamente da prendere alla lettera. Comprendendo le variabili che possono influenzarla (ambientali, relativi al tracciato, allo stato di forma, età, ecc.) è possibile comunque trovare un range di velocità all’interno del quale è possibile ipotizzare la performance teorica.

Nel prossimo capitolo vedremo il modello di calcolo che per utilità e semplicità di utilizzo ritengo più utile per un amatore.

Come estrapolare il ritmo gara dalle performance precedenti

Questa operazione viene richiesta quando si affronta una gara di una lunghezza mai effettuata; stessa cosa può essere necessaria quando è da tanto tempo che non si effettuano certe distanze, e la condizione attuale è differente da quella che era quando si era affrontata l’ultima volta quella determinata competizione. Ma facciamo qualche esempio:

  • Desidero partecipare ad una competizione di 15 Km, distanza alla quale non ho mai preso parte; 2 settimane fa ho preso parte ad una maratonina. A che ritmo devo impostare la velocità di gara?
  • Non ho mai preso parte ad una maratona, ma conosco il mio primato sulla mezza: quanto devo correre più lentamente la maratona rispetto alla mezza?
  • Ho coso diverse gare di 10 Km in questo periodo, e tra un mese voglio partecipare ad una maratonina; che ritmo gara devo impostare?
  • Ho corso la mia ultima maratona 10 anni fa; quest’anno ho corso 2 mezze maratone e voglio prepararmi per una maratona. Per impostare il ritmo gara devo basarmi principalmente sulla velocità di gara della mia ultima maratona o sulle ultime prestazioni sulle mezze?

Questi sono tutti dubbi leciti a cui può andare incontro un runner, ai quali è fondamentale dare risposta il più possibile realistica, visto che sappiamo tutti (basta basarsi sulla propria esperienza personale) quanto possa essere deleterio partire in gara con un ritmo errato (soprattutto se eccessivo). Prima di illustrarvi l’utilizzo dei fogli di calcolo, credo sia molto importante rispondere a questa domanda.

Ma è meglio gareggiare “a sensazione” o con l’uso del cronometro?

Nel nostro secondo post dedicato ai metabolismi energetici ed alla fatica, nel capitolo dedicato alla FATICA COSCIENTE, abbiamo visto come l’organismo è in grado di autoregolare l’intensità dello sforzo in base ai segnali della fatica ed in base alla “stima” (inconscia) del lavoro fisico che dovrà andare a compiere. In altre parole, l’esperienza e la percezione delle sensazioni in gara giocano un ruolo fondamentale nell’impostazione soggettiva del ritmo gara; ma attenzione, queste condizioni sono valide solamente per le distanze sulle quali si gareggia con frequenza, come possono essere le competizioni su strada di 10 Km.

Quando si prende parte a manifestazioni alle quali non si corre con frequenza e regolarità, allora è necessario anche calcolare il ritmo gara; infatti, in queste condizioni correre a sensazione comporta il rischio di partire troppo forte, con un inevitabile calo (più o meno evidente) nel finale.

Ma per quanto deve essere tenuto il ritmo gara impostato? Semplice, se si percepisce che non sia troppo intenso, l’ideale è circa metà-gara; oltre questo riferimento, starà poi all’atleta decidere (in base alla propria esperienza e sensazioni), se proseguire fino a 2/3 di gara con lo stesso ritmo o correre direttamente fino all’arrivo seguendo le proprie sensazioni. Nell’immagine sotto potete trovare i 2 importanti concetti appena esposti. Ma vediamo finalmente i fogli di calcolo e le condizioni nelle quali utilizzarli.

Foglio di calcolo Ranucci-Miserocchi

Il modello più semplice da utilizzare è il foglio di calcolo Ranucci-Misterocchi (è sufficiente cliccare sul link per scaricarlo); è estrapolato da uno studio Italiano effettuato da Marco Ranucci e Giuseppe Miserocchi, pubblicato sulla rivista Atletica-Studi nel 1986; la formula è estrapolata da un gruppo di atleti con primati migliori dei 40’ sui 10 Km, quindi è possibile ipotizzare come possa essere un modello che trovi la massima utilità per chi ha personal best di quel livello. Con opportuni accorgimenti, può essere utile anche per chi ha ritmi gara inferiori.

È però necessario essere consapevoli che non può fornire indicazioni precise a causa delle differenza che esistono tra i vari atleti (come abbiamo visto sopra). Nel nostro post dedicato all’individualizzazione dell’allenamento abbiamo visto come, in base alle proprie caratteristiche, le qualità dei runner possono essere orientate verso sforzi di resistenza (cioè migliorano le proprie performance relative all’aumentare della distanza) o di velocità (sono maggiormente efficienti in relazione alla diminuzione delle distanze).

Ma come applicare questo concetto al foglio di calcolo? 

Facciamo l’esempio di un podista che vuole preparare una maratonina (non avendola mai corsa), conoscendo il proprio tempo sui 10 Km. Per un atleta “resistente” (o con caratteristiche “intermedie”), se adeguatamente allenato, è probabile che questo foglio di calcolo possa dare indicazioni interessanti per stabilire il proprio ritmo maratona (direttamente dal calcolo), ancor di più se ha un primato inferiore a i 40’ sui 10 Km.

Per un atleta dalle caratteristiche “veloci” è invece probabile che questo modello sovrastimi il ritmo maratonina; in altre parole, per questa tipologia di podisti, è necessario utilizzare un range di velocità più lente rispetto a quelle ottenute dal foglio di calcolo.

Volendo dare indicazioni che siano il più possibile pratiche, il tempo di riferimento e le caratteristiche dell’atleta sono le 2 variabili principali da tenere in considerazione per impostare il ritmo gara teorico. Sotto è possibile vedere un pratico esempio.

Ma andiamo ora a fare qualche esempio, almeno in uno dei quali tutti possano ritrovarsi: un runner con caratteristiche intermedie che corre i 10 Km in 39′ (quindi un RG di 3’54″/km) avrà un RG teorico sulla mezza compreso tra 4’12”-4’22″/Km, visto che il calcolatore da 4’17″/Km. Un runner con caratteristiche veloci, ma con lo stesso primato, avrà un RG teorico sulla mezza compreso tra 4’17”-4’27”/Km.

Un podista con caratteristiche intermedie che corre i 10 Km in 50’ (quindi un RG 5’00”/Km) avrà un RG teorico sulla mezza compreso tra 5’18”-5’38”/Km, visto che il calcolatore da 5’28”/km.

Per runner con caratteristiche veloci, e con lo stesso tempo sui 10 Km, si considererà un ritmo compreso tra 5’32” e 5’48”/Km.

Ovviamente questi dati vanno presi come “Cum grano salis” (cioè con un pizzico di buon senso), perché, come abbiamo visto nell’esempio sopra (quello tra Panetta e Kipchoge), ogni atleta ha andamenti della performance diverso dall’altro.

Ma andiamo ora a vedere quali altre caratteristiche possono influenzare il tempo teorico calcolato.

Come visto sopra, il calcolo è più affidabile quando la distanza di riferimento è la metà (o anche di più) di quella da calcolare; ad esempio può andare bene usare il tempo della mezza per estrapolare quello della maratona. Usare invece il tempo dei 10Km (sempre per la maratona) è estremamente azzardato.

Altro aspetto importate da considerare è l’età; nell’ultima parte nostro post dedicato ai 5 pilastri della corsa, abbiamo visto come fino ai 40 anni le potenzialità degli amatori tendono ad essere sostanzialmente poco influenzate dall’età; quindi se si è under 40, non occorre fare modifiche al tempo teorico in base a questa variabile.

Se invece si è over 40 (ancor di più se si ha più di 50 anni) è necessario tenerlo in considerazione. Ovviamente se tra la data della gara di riferimento (usato per il calcolo) e quella della competizione che andiamo a preparare ci sono meno di 5 anni, anche in questo caso non sono da fare aggiustamenti. Piccoli aggiustamenti sono necessari se si è over 40 e ci sono più di 5 anni tra le 2 competizioni; in questi casi è possibile diminuire la velocità di gara teorica aumentando il tempo al Km dello 0.2-0.5% all’anno. Ma facciamo un esempio: se ho estrapolato un RG di 4’17/Km prendendo spunto da una gara fatta a 47 anni (e ora ne ho 57), dovrò aggiungere il 2-5% a tale velocità, cioè tra 5 a 13”/Km.

Quale gara usare come riferimento?  

Per “riferimento” si intende la competizione dalla quale si estrapolano i dati (tempo e distanza) per stimare tramite il foglio di calcolo il ritmo della gara che si deve effettuare. È meglio usare il proprio primato o l’evento più recente?  Bella domanda!

Il buon senso vuole che si utilizzino i dati dell’evento più recente e che dal punto di vista probabilistico presenti una condizione atletica paragonabile a quella della competizione che si andrà a correre. È fondamentalmente un fatto di onestà nei propri confronti: è inutile (ad esempio) usare come riferimento un primato personale, quando magari si è da poco reduci da uno stop, da un infortunio, o se non si ha avuto la possibilità di allenarsi adeguatamente. Se invece si vuole avere un dato più oggettivo, si può fare la media del Ritmo gara estrapolato dalle 3 gare più recenti.

Altro fattore fondamentale è il tempo che si ha avuto per allenarsi. Mi spiego meglio; nel primo dei 5 principi della programmazione, abbiamo visto come un periodo preparatorio per una competizione possa durare idealmente 16-20 settimane (anche 12 settimane se si tratta di gare di 5-10 Km). Questi sono i tempi necessari per preparare al meglio un evento! Ma facciamo l’esempio della preparazione di una maratona autunnale usando come riferimento il tempo impiegato in una maratonina primaverile in cui si ha stabilito il proprio primato. Ovviamente non posso pretendere di ottenere il tempo calcolato con sole 5-6 settimane di preparazione; la maratona è un evento in cui alcune variabili che incidono sulla performance richiedono diverso tempo per essere stimolate, quindi se si vuole ottenere il meglio, è necessario rispettare i tempi necessari per la preparazione. Non a caso, Swain et al 2019 videro come a livello amatoriale, un passo più accurato in maratona (cioè senza cali evidenti nel finale) era correlato all’esperienza del runner ed al chilometraggio medio settimanale effettuato nel periodo di preparazione.

Di contro, è molto più semplice se si “scende” verso una distanza inferiore: ad esempio se ho fatto il mio “primato” sulla mezza e voglio replicare sui 10 Km, probabilmente bastano veramente pochissime settimane per velocizzare i ritmi a tal punto di ottenere il meglio anche sui 10000m.

Com’è possibile comprendere, è necessario anche molto buon senso non solo nello stabilire il ritmo gara teorico, ma anche nel prendersi i tempi di preparazione adeguati per ottimizzare la condizione atletica. Nella nostra Home page dedicata al running, potete trovare i nostri articoli dedicati alla preparazione delle varie distanze.

Bene, fino a questo punto abbiamo visto 3 punti essenziali: il foglio di calcolo, come scegliere l’evento (o gli eventi) di riferimento e l’eventuale adattamento in base all’età del runner. È ovvio che il calcolo del ritmo gara teorico vale su un percorso pianeggiante e in condizioni climatiche favorevoli.

Ma perché è importante stabilire un ritmo gara?

È importante per evitare di correre la prima metà di gara (o nei primi 2/3) ad un’intensità troppo elevata, che vada a compromettere la velocità nella seconda parte e di conseguenza il tempo finale!

Attenzione, questa non è una considerazione banale; leggendo il prossimo capitolo capirete perché correre in negative split (cioè la seconda parte della gara leggermente più veloce della prima) permetta al runner di ottimizzare le risorse fisiologiche di cui dispone, in particolar modo nelle competizioni di una certa durata.

Perché correre in negative split è la condizione ottimale per la performance (di durata), e perché molti runner effettuano il contrario

Nello studio di Diaz et al 2014 venne confrontato l’andamento delle migliori prestazioni mondiali in maratona (dal 1989 al 2014) con quelli del periodo precedente (dal 1967 al 1988); venne visto come nei record più recenti la distribuzione dello sforzo era più uniforme e la seconda parte è stata corsa ad un’intensità leggermente superiore (si parla comunque di pochi secondi  al Km) rispetto alla prima. Nei record più datati invece (dal 1967 al 1988) la seconda parte della competizione è stata corsa più lentamente della prima, in alcuni casi anche con cali evidenti dopo il 25°/30° Km.

Questa inversione di tendenza è probabile sia dovuta ad un miglioramento della conoscenza e della pratica dell’allenamento della maratona; tutto ciò evidenzia come, con tutta probabilità, un atleta adeguatamente allenato alla distanza sia in grado di ottenere il meglio da sé stesso tenendo un ritmo il più possibile costante e correndo la prima metà leggermente più lenta (di qualche secondo al km) della seconda. Questo aspetto, evidenziato nello studio appena presentato, può trovare un razionale fisiologico in virtù delle ultime scoperte sui metabolismi energetici. Senza addentrarci eccessivamente su aspetti legati alla biochimica è importante comprendere come sia stato dimostrato (Shulman et al 2001 e Shulman 2005) che nella prima parte di uno sforzo a ritmo costante (anche molto basso) il consumo di glicogeno è maggiore rispetto alle altre fasi; di conseguenza, se si fa l’errore di partire troppo velocemente, il consumo di questo importante substrato energetico (glicogeno) avviene in maniera più veloce rispetto ad una partenza maggiormente in linea con il tempo finale (o leggermente più lenta). Non solo, partenze troppo veloci portano più facilmente alla comparsa dei crampi negli atleti maggiormente a rischio.

In sostanza, è possibile affermare che impostare la competizione in leggera progressione (cioè in minimo negative split) consente di ottenere tempi migliori rispetto ad una partenza più veloce.

È quindi importante riflettere su questo aspetto alla partenza di una competizione. Questo ovviamente è valido nel caso in cui ci si presenti alla partenza con una sufficiente Capacità di gara, cioè avendo fatto un percorso d’allenamento adeguato a supportare la distanza; questo aspetto non è banale quando si preparano gare oltre i 20 Km.

Ma quali sono i margini (in termini di secondi al km) rispetto al ritmo gara teorico da adottare nel caso in cui si volesse correre in negative split?  In altre parole, nel caso in cui io debba affrontare la competizione ai 4’40”/Km, è meglio partire ipoteticamente a 4’43”/Km o 4’46”/km o 4’50”/Km? Risponderemo a queste domande nei prossimi capitoli, nei quali vedremo anche tutte le variabili da considerare nell’impostare il ritmo gara.

Impostazione del ritmo gara: un pò di buon senso

Fino ad ora abbiamo visto come calcolare il ritmo gara teorico; in questo capitolo approfondiremo come contestualizzarlo (ed eventualmente modificarlo) in base alle situazioni pre-gara, in base a quello che accade in competizione e (soprattutto) in base alle proprie sensazioni nella prima parte del tracciato. Nell’immagine sotto potete trovare un elenco delle variabili che influiscono sull’impostazione di gara; quelle in rosso le andremo ad analizzare nei prossimi capitoli.

Partiamo con un dato di fatto: la maggior parte degli atleti (di tutti i livelli) corre la seconda parte della competizione più lentamente della prima, in particolar modo se si tratta di gare oltre i 20 km (Nicolaidis et al 2019). Da quello che abbiamo esposto fino ad ora, i motivi possono essere 2 (o entrambi): il primo è che non affronta la competizione adeguatamente allenato e il secondo è che parte troppo velocemente.

In uno studio del 2016, Brian Hanley vide come nelle ultime 9 maratone di livello assoluto (Mondiali ed Olimpiadi) solo gli atleti medagliati riuscirono (si parla di dati statistici che ovviamente presentano eccezioni) a tenere un ritmo pressappoco costante o in negative split durante la gara; tutti gli altri presentavano un calo più o meno evidente della velocità. Questo testimonia come anche la maggior parte degli atleti Top level tendono a correre il rischio di effettuare comunque una partenza veloce; per i professionisti questo rappresenta un “rischio” comunque accettabile (entro certi limiti) per i seguenti motivi:

  • Una medaglia (o un piazzamento in una gara particolarmente importante) può dare una svolta alla propria carriera, o cambiare la vita. In questi casi fa parte della competizione il correre il rischio di partire velocemente con la speranza di riuscire a tenere tale intensità fino alla fine per giocarsi i piazzamenti che contano.
  • Nella prima parte delle competizioni i migliori atleti tendono a correre insieme (a volte in presenza di lepri), quindi è più facile sfruttare la scia o trarre vantaggio dalla corsa di gruppo; questa strategia è efficace nel caso in cui l’intensità sia pari o di poco superiore al proprio ritmo gara; vedremo successivamente nel dettaglio quali siano i benefici.

Quindi, se per un Top Runner rischiare di partire ad un ritmo gara anche superiore a quello teorico rappresenta un “rischio calcolato”, è abbastanza evidente come per un amatore “il gioco non vale la candela”. Ma vediamo ora le variabili che possono contribuire a modificare (prima o dopo lo start) il ritmo gara.

Cosa si intende per “Esperienza” e qual è il suo peso sulla performance?

Nei capitoli precedenti abbiamo già visto l’importanza del peso delle proprie sensazioni nell’impostazione del ritmo gara in tracciati brevi (di durata inferiore ai 40-45’) e di cui si ha molta esperienza.

Tale evidenza è avvalora dallo studio di Billat et al 2006, in venne visto come in gare relativamente brevi (10 Km) di cui l’atleta ha una certa esperienza, i podisti amatori tendono a partire leggermente più forte (della media finale), avere un leggero calo intorno al 7-8° Km ed aumentare nuovamente la velocità nel finale di gara (vedi grafico in alto dell’immagine a fianco). In questi casi, il consumo di ossigeno (cioè la spesa energetica) totale è più basso rispetto ad una gara a ritmo “forzatamente” costante ed allo stesso tempo percepita come meno stressante ed impegnativa. Non a caso la regolazione teleanticipatoria della performance implica che se si effettua una competizione particolarmente intensa di cui si ha grande esperienza, l’organismo tende a regolare spontaneamente il passo, con piccole variazioni che minimizzano la fatica per distribuire al meglio le energie; questo è un meccanismo inconscio di cui si hanno diverse prove sperimentali (puoi approfondire leggendo il capitolo sulla fatica cosciente).

Questo potrebbe essere in contrasto con quanto detto fino ad ora, ma ad un’analisi più concreta non è così; ciò che si evidenzia, è come accanto ad un aspetto teorico del calcolo del ritmo gara, è essenziale anche l’impostazione soggettiva della performance, in base alle sensazioni che l’atleta in competizione ha sin dall’inizio. Questo vale principalmente per le distanze brevi (inferiori ai 40-45’) di cui si ha esperienza. Più sono lunghe le gare e meno esperienza si ha, tanto più diventa invece importante il calcolo del tempo teorico.

Ricordo che il peso dell’esperienza sulla performance è tanto maggiore tanto è evidente il dislivello della competizione. Anche modesti dislivelli invalidano totalmente i calcoli del ritmo gara teorico; quindi, se gareggiate da poco tempo (o avete poche gare alle spalle) non abbattetevi se vi accorgete di aver distribuito male lo sforzo. L’importante e fare tesoro dei propri errori ed essere consapevoli che, nel dubbio, è sempre meglio partire leggermente più lenti.

Condizioni ambientali: quanto sono sfavorevoli?

Malgrado caldo ed altitudine rappresentino variabili che hanno un’influenza deleteria sulla performance, è particolarmente difficile comprendere “quanto” possano effettivamente influire sul tempo finale.

Il Jack Daniels’ VDOT Calculator ha all’interno un modello matematico che non solo è utile per estrapolare il passo (al Km o al miglio) in base al tempo finale su una determinata distanza, ma ipotizza quale possa essere l’influenza del clima (temperatura ed altitudine).

Ma è veramente affidabile questo calcolatore?

Purtroppo no, perché le variabili che si vanno ad intrinsecare con il dato della temperatura (o quello dell’altitudine) sono troppe per essere estrapolate da un modello generico. Quello che si conosce meglio è il perché in condizioni ambientali sfavorevoli l’organismo non riesca ad essere così performante. Comprendendo questi aspetti (cioè queste variabili), è possibile cercare di ridurne gli effetti (ad esempio con l’acclimatazione), ma non è possibile sapere con certezza matematica “quanto” il clima influenzi la prestazione.

Clicca sull’immagine per ingrandirla

Nel nostro post dedicato a correre e gareggiare con il caldo, abbiamo elencato quali sono le variabili che influenzano sul calo prestativo e le strategie per minimizzarne l’effetto.

Nell’articolo dedicato all’allenamento e al gareggiare in quota abbiamo visto come all’aumentare dell’altitudine l’organismo tenda a ridurre l’entità della potenza muscolare erogata per via aerobica, peggiorando la performance di endurance. Per atleti non abituati a determinate condizioni, quote elevate possono anche generare malesseri che vanno oltre il decadimento della performance. Con l’acclimatazione (cioè dopo 14-21 giorni in cui si risiede in quota) le performance tendono a migliorare (in presenza di un allenamento adeguato), ma non come a livello del mare. La soggettività, l’abitudine e l’esperienza, sono criteri fondamentali quando si approcciano allenamenti o gare in quota.

Gli atleti d’elitè utilizzano stage in altitudine per godere di quegli adattamenti dovuti all’acclimatazione che (solo in presenza di un allenamento adeguato) possono portare quei marginal gains, cioè quei piccoli guadagni, che in ambito elitè possono fare la differenza. Potete approfondire l’argomento leggendo il nostro post dedicato all’allenamento e alla competizione in quota.

Correre in gruppo serve esclusivamente a sfruttare la scia?

Chi ha visto il tentativo di Eliud Kipchoge di correre la maratona sotto le 2 ore, ha ben compreso quanto possa essere importante la scia.

Guardando il video ci si rende conto come le lepri (gli atleti con la canotta nera) assumevano una formazione prestabilita per ridurre al minimo l’attrito di Eliud con l’aria; ma questo non era l’unico dettaglio che ha portato un atleta da 2h01’39” in maratona (l’attuale record del mondo) a correre sotto le 2 ore. Malgrado tale risultato non fu omologabile (principalmente per l’assenza di avversari), ci fornisce importanti dettagli per comprendere (anche se in forma empirica) i benefici che si possono avere correndo in gruppo.

Il primo ovviamente è la scia, che indubbiamente offre dei vantaggi (Hoogkamer et al 2017), ma con tutta probabilità esistono anche altri benefici (Zouhal et al 2015). Infatti, il competere in prossimità di un altro atleta (non necessariamente in scia) comporta il vantaggio di ridurre lo sforzo mentale (cognitivo) per aggiustare la velocità in base alle condizioni di fatica (Renfree et al 2015); è come utilizzare una sorta di “cruise control” (regolazione automatica della velocità) nella parte iniziale e centrale della competizione. Questa riduzione di “sforzo mentale” comporta una diminuzione del consumo energetico della corsa.

Racconto un aneddoto personale per chiarire l’importanza di questo concetto: qualche anno fa mi trovai dopo i primi km di una maratonina in un gruppetto di 8-10 unità che stava tenendo un ritmo analogo a quello a cui conclusi una gara di 10 km di qualche settimana prima. Era ovvio che non sarei mai riuscito a tenere quel ritmo per tutti i 21.097 Km, ma dietro a quel gruppo non si vedevano atleti per 200-300m; il dubbio fu quello di staccarmi immediatamente cercando di impostare “il mio passo” (rimanendo però da solo) o avanzare con quel gruppo, sfruttando scia e il vantaggio di correre in prossimità di altri il più possibile, fino a quando ce l’avrei fatta. Optai per la seconda opzione, riuscendo a rimanere con loro fino al 15/16° Km; la scelta si rivelò azzeccata in quanto negli ultimi Km (in virtù dell’elevato chilometraggio settimanale di quel periodo), pur da solo, riuscii a non rallentare troppo e conclusi con un tempo finale che probabilmente non sarei riuscito ad effettuare correndo da solo per tutta la gara.

Questo non significa che è “sempre” efficace partire con un gruppetto che tiene un ritmo leggermente superiore al proprio ritmo gara; infatti, in assenza di un’elevata Capacità di gara, si rischia di “crollare” oltremodo nella parte finale. Quello che è fondamentale capire, è che pur impostando un ritmo gara teorico, è importante anche saper leggere la situazione (soprattutto in competizioni con pochi partecipanti) ed essere consapevoli dei rischi a cui si può andare incontro partendo comunque troppo forte.

Analizzando il tempo finale, confrontandolo con il ritmo gara teorico ed il passaggio a metà percorso, ci farà comprendere (a posteriori) se la strategia si è rivelata positiva oppure no; questo andrà ad aumentare il bagaglio di esperienza del runner che sarà molto utile nelle competizioni successive. Ovviamente la condizione ideale è quella di poter sfruttare il rimanere in gruppo ed allo stesso tempo correre in negative split.

Ma questi vantaggi sono effettivi a tutte le velocità?

Sicuramente il competere in prossimità di uno o più atleti è di utilità per tutti i runner, mentre il vantaggio della scia è probabile che diventi significativa a velocità superiori ai 15 Km/h.

Quanto conta la “testa”

È ampiamente risaputo che stati emotivi come ansia, tensioni e stress modificano il tono muscolare, e con esso la vasodilatazione ed i sistemi metabolici, immunitari ed ormonali. La stessa cosa avviene quando si fa attività sportiva (Speciani et al 2003, Sullivan et al 2017, de Medeiros Andrade et al 2019, Song et al 2019); credo che sia a chiaro a tutti di come si percepisca meno fatica quando ci si allena in compagnia o su percorsi piacevoli dal punto di vista paesaggistico.

Di contro, gareggiare in condizioni di forte stress ed ansia emotiva (relativi alla competizione) non può far altro che peggiorare quella che è la performance del runner; di per sé la competizione è un evento stressante per l’unità psico-fisica dell’organismo umano, per questo motivo è importante non aggiungere ulteriore nervosismo ed ansia alla gara.

Per fare un esempio, provate a pensare a quanto sia importante il flusso di sangue nei muscoli per portare ossigeno, nutrienti e smaltire i cataboliti della fatica durante lo sforzo; particolari stati emotivi (come ansia, tensioni, ecc.) possono ridurre questo flusso, aumentando la costrizione dei vasi, incidendo di conseguenza sulla fatica.

Nel precedente capitolo abbiamo visto come il correre in gruppo sia un elemento che permette di risparmiare energie mentali, e di conseguenza anche fisiche. Ovviamente non si conosce, all’atto pratico, quante calorie possa far risparmiare un atteggiamento mentale adeguato, rispetto ad un approccio psicologico errato, ma esiste un ramo della psicologia dello sport dedicato proprio a questa metodologia.

Riassumo sotto alcuni punti che ritengo interessanti:

  • Gareggiare con l’ansia e la paura di non riuscire nel proprio obiettivo non può che influenzare negativamente la performance. Si fa sport per il piacere di farlo e si gareggia perché ci permette (in un certo senso) di tornare bambini; gli avversari non solo altro che compagni di gioco contro i quali si cerca di dare il meglio di sé stessi…ma alla fine, indipendentemente dal risultato, si è comunque felici di aver “giocato”; non è questo il senso della corsa per tantissimi podisti? Per altri invece, le competizioni rappresentano aspetto sociale particolarmente piacevole, oppure un modo di mettersi alla prova, di migliorarsi e di sentirsi “vivi”. Qualsiasi sia il motivo per cui si partecipa alle gare, è importante essere consapevoli che non c’è nessun motivo per essere ansiosi o spaventati se ci si prepara in maniera adeguata.
  • La percezione della fatica non dipende solamente dalla fatica stessa, ma anche dall’interpretazione che noi diamo a questa e da dove indirizziamo la nostra attenzione; è il classico esempio dell’allenamento in compagnia o del correre per un paesaggio piacevole che ci permette di ridurre la percezione dell’impegno. Focalizzare la nostra concentrazione su aspetti diversi dalla fatica, può aiutarci a minimizzare la percezione dello stress e focalizzare l’impegno nella direzione di ottimizzare l’intensità dello sforzo.
  • L’organismo è in grado di migliorare la tolleranza alla fatica con la costanza nell’allenamento e la specificità degli stimoli allenanti. Questo non è solamente un dato di fatto, ma una consapevolezza che infonde sicurezza se ci si allena e ci si prepara adeguatamente alle competizioni.

Questi non sono altro che 3 semplici esempi di come l’aspetto mentale possa influenzare l’attività sportiva ed il piacere di farla. Per chi volesse approfondire, consiglio i libri di Pietro Trabucchi, uno psicologo dello sport che ha dedicato diverse pubblicazioni all’argomento, con un linguaggio accessibile a tutti; tra tutte segnalo Resisto dunque sono.

Anche l’aspetto psicologico, quindi gioca un ruolo importante durante la competizione; alcuni podisti preferiscono stare “davanti” al gruppo per impostare il proprio ritmo, altri tendono a partire più cauti perché si sentono più a loro agio correndo in progressione. Quello che è importante, è fare in modo che la mente (vedi i 3 esempi sopra) faciliti la performance e non sia “d’intralcio”, partendo sempre da un corretto calcolo del ritmo gara teorico e di una gestione del ritmo possibilmente in negative split.

Conclusioni ed applicazioni pratiche

Prima di concludere con ultimi importanti consigli, facciamo un rapido check-up delle variabili che possono influenzare l’approccio iniziale al ritmo gara; parlo di “approccio iniziale”, perché la gestione della velocità è giusto che sia accurata nella prima metà (o nei primi 2/3) di gara. Nella parte finale, le sensazioni del momento, l’esperienza e l’aspetto mentale diventano preponderanti rispetto a tutti i calcoli teorici.

Ma se il percorso non è pianeggiante? Ovviamente in questo caso si evita di calcolare il ritmo gara teorico, ma rimane l’importanza di tutte le altre variabili, prima fra tutte l’esperienza; in particolar modo il saper gestire il ritmo in salita ed in discesa. L’esperienza non si ottiene solamente con la pratica delle gare, ma confrontando, ad ogni competizione, i tempi teorici con le condizioni di gara, la condizione di forma ed il modo con cui si è gestito lo sforzo (negative split, approccio mentale, ecc.). In questo modo, si potrà far tesoro dei propri errori e conoscere meglio i propri punti forti e deboli.

Per chi volesse approfondire ulteriori aspetti significativi, consiglio di leggere il capitolo “Massimo numero di gare” nel post dedicato alla programmazione, come riscaldarsi prima di una gara (comprende anche l’approccio mentale al warm-up), l’idratazione ed integrazione e la gestione del clima.

Concludiamo ribadendo l’effettivo vantaggio (dal punto di vista fisiologico) che può dare un approccio in negative split; affrontare (in linea teorica) la prima metà gara 2-6” più lenti di quello che è il ritmo gara teorico potrebbe rappresentare la soluzione ottimale per un amatore. Non vale la pena rischiare di penalizzare la propria performance per una partenza troppo veloce; l’analisi delle precedenti gare non può altro che aiutare nel rafforzare questo concetto.

Ovviamente non si deve essere “schiavi” del cronometro, ma considerare questo strumento come un’importante fonte di informazioni, con la consapevolezza che altre variabili possono influenzare l’andamento della gara.

Queste raccomandazioni valgono anche per quei percorsi non pianeggianti, in cui una partenza meno intensa è anche meno faticosa e permette di essere anche mentalmente più tranquilli (soprattutto in caso di salite impegnative) nella gestione non facile delle energie su determinati percorsi.

Concludo con un ultimo vantaggio, non trascurabile, nell’utilizzo del calcolatore per i ritmi gara teorici; questo può anche aiutare a comprendere su quali, delle prestazioni passate sulle distanze classiche (maratona, mezza, 10000m, ecc.), il runner ha più margini di miglioramento. In questo modo, atleti più esperti, potranno trovare obiettivi e motivazioni nello stabilire i propri programmi di preparazione.

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Autore dell’articolo: Luca Melli (melsh76@libero.it), Istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 e preparatore atletico AC Sorbolo.

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