Running: i benefici del cross training

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(Aggiornato al 23/06/2023)

Il cross training (allenamento incrociato) non è altro che l’utilizzo di pratiche sportive alternative alla disciplina praticata, ma con lo scopo di migliorare la performance nel proprio sport. Gli sport che possono incrociare il proprio effetto allenante con la corsa sono veramente tanti, ma è importante capire su quali versanti allenanti, ogni disciplina, può aiutare il runner nel raggiungere i propri scopi.

Facciamo l’esempio del nuoto: è una disciplina che permette di ridurre il rischio di infortuni, riduce la percezione del caldo (utilissimo in certi periodi dell’anno) ed aiuta il recupero; di contro, ha uno scarso effetto allenante specifico per la corsa. Se però si ha la possibilità di sfruttare la piscina per fare acquajogging, allora ai benefici citati sopra si aggiungono quelli della specificità.

Come potete benissimo capire, esistono infinite combinazioni di cross training; l’obiettivo di questo articolo è proprio quello di fare chiarezza sull’interazione che possono avere con la corsa, al fine di comprendere come ottimizzare al meglio i benefici di questa attività. Quando possibile ci appoggeremo alla bibliografia internazionale (come facciamo sempre) per avere elementi suffragati da maggiori evidenze.

Perché il Cross training

Le ragioni per le quali un runner dovrebbe essere a conoscenza dei pregi del cross training sono diverse; in primis la possibilità di variare l’allenamento, soprattutto in determinati momenti dell’anno, oppure la possibilità di fare sport riducendo il rischio di infortuni per chi è particolarmente a rischio o per chi stanno riprendendo.

Ma tralasciando un attimo l’aspetto metodologico vero e proprio, è da considerare come lo sport sia anche fonte di benessere, scoperta della natura e socializzazione. Probabilmente non si può correre con tutti i propri amici o familiari, ma si può fare un’escursione in montagna, un giro in bici, una camminata o praticare yoga.

Se si comprende come lo sport possa essere non solo fonte di benessere strettamente fisico, ma legato a più aree della propria vita, allora il Cross-training diventa una pratica estremamente interessante; quello che è importante, è il riuscire a comprendere come si “incrociano” le varie discipline con la corsa, per capirne appieno le potenzialità.

Tutti i runner, di qualsiasi livello, possono trarre giovamento (anche in maniera diversa) dal Cross Training; ma cominciamo a scendere nel dettaglio ed approfondire i pregi.

Pregi principali

  • Più motivazione a fare sport: la minor monotonia nell’allenamento è la variabile più ovvia ed allo stesso tempo quella che più di altre può spingere il runner, in particolari momenti dell’anno, o della propria carriera, ad inserire sport alternativi nella propria routine d’allenamento. Non solo, come elencato prima, permette di praticare attività fisica insieme a persone con le quali non si corre, ed allo stesso tempo consente una contemplazione della natura da una visuale diversa da quella della corsa; ad esempio, camminando è possibile “distrarsi” maggiormente ad apprezzare il paesaggio, come in bici si riescono a percorrere più km (e quindi vedere più posti) rispetto alla corsa.
  • Decremento rischi infortuni: questo vale soprattutto quando si utilizzano discipline che dal punto di vista neuromuscolare e/o biomeccanico si allontanano dal running, o che ripropongono i gesti della corsa con impatti inferiori. Esistono tipologie di infortuni (come può essere la tendinopatia al tendine d’achille) che impediscono per un certo periodo di correre, ma non di andare in bici o nuotare.
  • Maggior tolleranza o adeguamento al clima: nuoto e cliclismo, ad esempio, sono discipline che permettono di soffrire meno il caldo nei mesi più afosi dell’estate. Oppure lo sci di fondo e il pattinaggio su ghiaccio (per chi abita in montagna) possono essere delle valide alternative quando le strade sono piene di neve.
  • Fornisce un ottimo allenamento generale: tramite il cross training è possibile tollerare carichi di lavoro maggiori con una minore incidenza sugli infortuni. Ad esempio con la bici, si riescono ad effettuare carichi di intensità per durate superiori rispetto alla corsa, perché non si presentano impatti traumatici. Questo ha anche impatto sulla modulazione della composizione corporea. Non solo, sforzi invece di intensità più blanda (come il camminare) possono aiutare a recuperare più velocemente gli allenamenti di corsa perché provocano vasodilatazione (facilitando quindi il ricambio di sostanze nei muscoli), ma senza affaticare eccessivamente.

Istruzioni per l’uso

Prima di andare a fare una rigorosa classificazione delle discipline al fine di comprenderne specificatamente l’utilità, cerchiamo di comprendere alcuni aspetti molto importanti.

Il primo riguarda l’individualità dell’allenamento; ho visto runner allenarsi con la bici da corsa per una settimana intera e poi riuscire a correre allenamenti lunghi tranquillamente nel weekend. Dall’altra parte, ho allenato runner che prima di una gara era meglio evitassero per almeno 4-5 giorni allenamenti importanti con la bici, perché questi tendevano (con l’affaticamento che generavano) a far percepire più “pesante” la tecnica di corsa.  Questo è un esempio reale di come non tutti i runner si adeguano allo stesso modo alle discipline alternative; quindi quando si introduce uno sport complementare alla corsa, è sempre bene verificarne gli effetti nei giorni successivi.

Probabilmente l’individualità delle risposte all’allenamento è legata alle caratteristiche muscolari del soggetto e all’esperienza nella pratica della disciplina stessa. Di norma, maggiore è la forza muscolare e meno difficile sarà adeguarsi al cross training; non a caso, i triatleti eseguono importati sedute di potenziamento in alcuni momenti dell’anno per minimizzare l’interferenza tra le varie discipline in gara. Anche una migliore attitudine e tecnica esecutiva del gesto (dovuta alla pratica ed esperienza) è importante, perché tende a causare minori affaticamenti muscolari.

Bene, dopo queste importanti raccomandazioni, possiamo passare alla classificazione delle discipline alternative alla corsa; ci baseremo su 4 variabili, al fine di permettere di individuare al meglio gli effetti dei singoli sport.

Come classificare uno sport complementare: il concetto di vicarianza

Malgrado il cross training possa abbracciare tutte le discipline sportive, veramente poco è stato approfondito dal punto di vista della bibliografia internazionale; il ciclismo è lo sport del quale si ha il numero maggiore di ricerche a disposizione, per questo abbiamo dedicato a questa disciplina un articolo intero.

Affinchè si possa inserire la pratica del cross-training nella propria routine d’allenamento, sarebbe bene comprendere la “Vicarianza” tra il running e la disciplina complementare considerata; in altre parole, se devo inserire delle sedute di sport diversi all’interno della mia settimana di allenamento, come devo considerarle? Sedute di carico? Sedute di scarico? Sedute di potenziamento? Il concetto di “Vicarianza”, attraverso 4 fattori fondamentali, ci aiuta a comprendere meglio questo argomento; ma vediamo sotto quali sono questi 4 punti:

  1. Fattore neuromuscolare: indica quanto, lo sport considerato, è più o meno intenso, dal punto di vista neuromuscolare rispetto alla corsa. Ad esempio, la pratica del beach volley (o del tennis) è da considerare più intensa (dal punto di vista muscolare) rispetto alla corsa. Viceversa per il nuoto.
  2. Fattore biomeccanico: maggiore è l’affinità di uno sport da questo punto di vista, e più specifico sarà l’allenamento. Ad esempio, il calcio ha un’affinità biomeccanica maggiore rispetto al ciclismo.
  3. Fattore metabolico: con questo si intende la distribuzione dell’intensità e del tempo dello sforzo. Ad esempio, la pratica del potenziamento muscolare (come la core stability), malgrado abbia un maggiore fattore neuromuscolare, ha un ridotto fattore metabolico rispetto allo speed hiking. Tutte le discipline con alto impatto metabolico incrementano anche la spesa calorica giornaliera, potendo influenzare nel lungo termine la composizione corporea.
  4. Fruibilità logistica: è il fattore pratico per eccellenza, cioè indica quanto è “alla mia portata” una determinata pratica sportiva. Ad esempio, la pratica dello sci di fondo, in inverno ha un’ottima fruibilità logistica per chi vive in montagna, ma è l’opposto per chi vive in altre zone.

Spero con tutti questi fattori e variabili di non aver fatto venire il mal di testa a nessuno, ma sono elementi fondamentali che poi andremo ad esemplificare con molta più chiarezza nei prossimi paragrafi; lo scopo è quello di dare a tutti gli strumenti per comprendere quando e come inserire al meglio eventuali altre pratiche sportive nella propria routine d’allenamento, per poter godere al meglio della bellezza del fare attività fisica. Andiamo ora ad analizzare le singole discipline.

Ciclismo

È solitamente la disciplina che con più frequenza si abbina alla corsa. In bici è possibile passare più tempo sottosforzo, perché la muscolatura ha impatti meno traumatici rispetto alla corsa. Malgrado questo, la maggior parte delle ricerche scientifiche sull’argomento si è focalizzata sul verificare se, a pari tempo dedicato, con il ciclismo è possibile avere stimoli sovrapponibili a quelli della corsa. Le conclusioni sono che è possibile sostituire un numero limitato di sedute di corsa con la bicicletta, a patto che vengano preferite le sedute più intense.

Nel nostro post dedicato all’utilizzo della bici per migliorare nella corsa, potete trovare tutti i protocolli specifici.

Nuoto

Altra disciplina largamente utilizzata dai runner, ma con minore corrispondenza neuro-muscolare, biomeccanica e metabolica rispetto alla bici; questo concetto è confermato dalla ricerca di Millet et al 2002, i quali videro come in una disciplina come il triathlon, ci fosse vicarianza tra ciclismo e corsa, ma non nei confronti del nuoto.

Ma andiamo ora a vedere cos’altro si trova in bibliografia internazionale: Lum et al 2010 videro come in un gruppo di triatleti, una seduta intensa di nuoto (20 x 100m) era in grado di garantire una migliore performance di corsa (24 ore dopo un allenamento intenso di corsa), rispetto ad un recupero passivo. La seduta di nuoto era inframezzata tra l’allenamento di corsa ed il test che misurava la performance; è possibile ipotizzare che i benefici fossero dovuti non solamente al movimento dei muscoli che rinvigorisce la circolazione, ma anche alle proprietà idrostatiche dell’acqua che permettono di smaltire più velocemente i cataboliti della fatica. Purtroppo ad oggi non è stata pubblicata nessuna ricerca che ha confermato o smentito questo risultato, che comunque conferma come una seduta di nuoto possa aiutare a recuperare tra 2 allenamenti impegnativi.

Molto interessante è anche la ricerca di Lavin et al 2015 in cui 18 soggetti furono divisi in 2 gruppi a cui vennero fatti fare ad entrambi 12 sedute di nuoto; ad un gruppo venne fatto respirare (mentre nuotavano) 2 volte per vasca (era lunga 23 metri), mentre all’altro veniva fatto respirare liberamente. Di conseguenza i primi respirarono in media ogni 12 bracciate, mentre gli altri ogni 4 (veniva chiesto di non nuotare a ritmi intensi). Il razionale di questo allenamento consisteva nel fatto che potendo fare meno cicli di respirazioni, i soggetti forzassero maggiormente l’inspirazione, incrementando il carico elastico dei polmoni; inoltre, i respiri meno frequenti provocherebbero un incremento dell’acidità nel sangue (per l’accumulo di anidride carbonica), affaticando ulteriormente il sistema respiratorio. L’ipotesi era che tutto questo potesse avere un carico allenante sulla capacità respiratoria, migliorando anche il costo energetico della corsa (quello che corrisponde al consumo di “carburante per Km” di un’automobile).

Il solo gruppo che respirava 2 volte per vasca migliorò la sua economia di corsa del 6%, un miglioramento molto marcato per un runner. È comunque da considerare che i soggetti che parteciparono alla sperimentazione non erano runner, ma soggetti fisicamente attivi (6 ore di sport a settimana), quindi il dato del 6% è da prendere con le molle. I soggetti “meno esperti” nel nuoto ottenevano maggiori benefici da questo protocollo.

Lo stesso tipo di protocollo fu effettuato da Burtch et al 2017, ma con alcune differenze; i soggetti erano nuotatori competitivi di college e i nei 2 protocolli era previsto di respirare ogni 7-10 bracciate in uno e ogni 3-4 nell’altro. Non ci fu nessun effetto per quanto riguarda l’economia di corsa (a differenza dello studio precedente), ma migliorarò l’efficienza dei muscoli respiratori.

Ovviamente le differenze tra questi 2 protocolli (soprattutto in relazione ai soggetti testati) possono aver influito sulla non omogeneità dei risultati; non ci dilunghiamo ulteriormente nel commentare visto che il numero di studi sull’argomento è ancora esiguo, ma spero che quanto riportato da questi studi possa aver fornito spunti interessanti per i propri allenamenti di nuoto.

La corsa in acqua

In ambito riabilitativo è sicuramente l’attività più utilizzata negli States. Fondamentalmente consiste nella ricerca di avanzare, tramite il gesto motorio della corsa, in acqua alta grazie all’utilizzo di un galleggiante come una cintura (quindi non si tocca il fondo della piscina). La corrispondenza biomeccanica è particolarmente elevata, ma è molto basso l’impatto neuromuscolare…condizione essenziale per la ripresa durante la maggior parte degli infortuni.

Con questa disciplina non viene allenato più di tanto l’aspetto neuro-muscolare (che durante la riabilitazione sportiva richiede gesti specifici, spesso fatti in palestra), ma quello metabolico; infatti è possibile effettuare allenamenti anche particolarmente intensi e prolungati con un buon carico metabolico allenante. Personalmente consiglio di abbinare questa attività al nuoto (per il runner che va in piscina), anche quando non si è infortunati. In questo modo sarà possibile variare la tipologia di allenamento ed annoiarsi meno.

Ma vediamo ora cosa è necessario per fare acquajogging: prima cosa importante è che l’acqua sia sufficientemente alta per non toccare il fondo; ci si può spostare anche solamente nella parte della corsia più profonda, tanto si avanza molto lentamente. Sarebbe bene assicurarsi, prima di andare in piscina, che ci sia una corsia dedicata proprio a chi fa questa attività, per non ostacolare i nuotatori. Unica attrezzatura necessaria è una cintura da acquajogging (si trova anche su amazon o da Decathlon).

La tecnica esecutiva inizialmente è abbastanza difficile da imparare, visto che spontaneamente si tenderebbe ad inclinarsi in avanti (come quando si va in bicicletta). La tecnica corretta invece prevede il busto eretto (con un’importante attivazione di core e glutei) ed il movimento circolare delle gambe tendente ad “andare a prendere” l’acqua avanti (come con un calcio volante); vedi video sotto.

Per questo motivo, si consiglia di provare sopratutto a chi va già in piscina a nuotare, in maniera tale da sapere già se nella piscina ci sono condizioni ideali (altezza acqua sufficiente e corsie disponibili).

Vista l’assenza degli impatti, dopo un buon riscaldamento è consigliabile effettuare allenamenti di ripetute di varia durata, per incrementare l’impegno metabolico; in fondo a questa pagina potete trovare 3 tipologie di allenamenti. Sostanzialmente si tratta di prove ripetute brevi (da 15” a 60”) con recupero ancor più brevi (5”-30”) o ripetute medio-lunghe di 2-5’ con recuperi di 1’. In ogni modo, le prime sedute in assoluto vanno dedicate esclusivamente all’apprendimento della tecnica corretta e l’applicazione di questa alle varie intensità.

Ma cosa ne dice la bibliografia internazionale sulla relazione tra la corsa in acqua ed il running? Praticamente nulla! Nonostante la prima pubblicazione risalga al 1997 (Zenhausern et al 1997), successivamente sull’acquajogging è stato effettuato solo uno studio (Wouters et al 2010), ma non su runners.

Malgrado questo, l’evidenza dimostra come possa essere una pratica di cross training parecchio efficace nel caso in cui si voglia effettuare uno sforzo similare (dal punto di vista biomeccanico e metabolico) alla corsa, ma senza gli impatti tipici degli sport terrestri; ne trarrà giovamento il rischio di infortuni e la capacità di recuperare dopo gli allenamenti di running.

Mi permetto di dare ulteriori consigli; visto che correre in acqua può essere più noioso di correre all’aperto, è consigliabile preferire (quando possibile) piscine all’aperto ed allenarsi in compagnia (o con l’ausilio della musica, come nel fartlek mp3).

Lo speed hiking

A mio parere è la disciplina ideale per il cross training, perché offre benefici paragonabili allo sci di fondo, ma non necessita di particolari strutture od abilità. La traduzione “escursionismo veloce” la colloca come uno sport intermedio tra il Trail Running e l’escursionismo puro.

Con adeguati accorgimenti metodologici, può diventare una disciplina estremamente allenante ed allo stesso tempo piacevole; ma prima di andare a vedere le variabili di un allenamento di speed hiking, cerchiamo di capire la vicarianza che può avere con la corsa.

Come tecnico e runner, sono sempre rimasto affascinato dallo sci di fondo e dal come gli atleti arrivino stravolti al termine di queste competizioni (se avete visto gare in TV, potete campire benissimo); lo sci di fondo è uno sport più completo della corsa, perché la propulsione viene effettuata anche dalle braccia, ed allo stesso tempo determina elevate sollecitazioni del metabolismo con impatti muscolari inferiori (quindi con un minore rischio di infortuni). Purtroppo, è uno sport estremamente poco fruibile (cioè può praticarlo con continuità solo chi abita dove sono presenti gli impianti). Con i giusti accorgimenti metodologici, lo speed hiking rappresenta l’alternativa che più si avvicina a questa disciplina, ma alla portata di molte più persone. Ma quali sono gli effetti principali come disciplina di cross training?

  • Miglioramento della resistenza muscolare locale e della capacità di andare in salita, visto che la pratica si può svolgere anche su pendenze elevate.
  • Miglioramento della sensibilità percettiva nel percorrere le discese; come abbiamo visto nell’articolo specifico, la capacità di correre in discesa non dipende solamente dalla stiffness, ma anche dalla coordinazione oculo podalica nel gestire con sensibilità il gesto motorio su terreno non regolare.
  • Evidente stimolazione dei metabolismi, una volta in grado di padroneggiare al meglio la tecnica
  • Ulteriore stimolazione della core stability e della forza delle braccia.

È importante comunque non confondere questo sport con il nordic walking; quest’ultima è una disciplina estremamente più complessa e difficile che si svolge su terreni pianeggianti. Se per imparare lo speed hiking bastano solo alcuni accorgimenti e molta pratica, per apprender la giusta tecnica di nordic walking è necessario fare dei corsi con personale qualificato.

Come organizzare un allenamento di speed hiking

L’intensità in salita e l’aspetto coordinativo in discesa rappresentano gli stimoli allenanti principali, per questo motivo è sempre bene scegliere percorsi con minore pianura possibile. Altro aspetto importante è l’utilizzo dei bastoncini nei tratti in salita (ed eventualmente in quelli pianeggianti); dalla bibliografia internazionale sappiamo che in pianura, l’utilizzo dei bastoncini incrementa il dispendio energetico, ma non la percezione dello sforzo. In salita invece, è stato dimostrato che camminando con i bastoncini (a pari velocità) si percepisce una minore fatica (Giovannelli et al 2019). Ciò è confermato dalla testimonianza di migliaia di trailer che utilizzano questi attrezzi nei Vertical o nei Trail con tanta salita; essi infatti, riportano come con i bastoncini riescano a “limitare” l’affaticamento alle gambe. Non solo, su salite ripide, l’attivazione dei muscoli della parte superiore è 15 volte più alta con i bastoncini (Pellegrini et al 2015), indicando come in questo modo sia possibile attivare un numero maggiore di gruppi muscolari e allenare il metabolismo ad alta intensità, ma percependo un minor livello di fatica (cosa di non poco conto).

Affinchè questo sia possibile, è però fondamentale apprendere la giusta tecnica esecutiva ed avere la parte superiore del corpo sufficientemente allenata (Giovannelli et al 2019).

Sotto potete vedere un video esplicativo estremamente utile che spiega la regolazione e l’utilizzo dei bastoncini.

In sintesi:

  • La lunghezza deve essere tale da formare (una volta impugnata), un angolo di 90° tra braccio ed avambraccio; usandola in salita, deve essere comunque leggermente accorciata. Al limite, si può fare la stessa taratura di sopra (angolo a braccio/avambraccio di 90°) su una salita.
  • La racchetta si impugna infilando il polso nel lacciolo; durante la trazione è il polso che trasmette la forza senza necessariamente che la mano stinga la racchetta. Durante il richiamo del bastoncino invece è importante che le dita stringano l’attrezzo.
  • L’andatura prevede l’avanzamento incrociato di una gamba con il braccio controlaterale; in altre parole, quando avanza la gamba destra, si porta avanti anche il braccio sinistro.
  • La punta del bastoncino deve appoggiare appena dietro il piede controlaterale.
  • Durante la spinta, tenere una posizione centrale ed eretta (o leggermente inclinata in avanti) senza oscillare a destra/sinistra mentre si spinge con le braccia.
  • Quando le pendenze sono molto elevate e si è particolarmente stanchi, si può anche effettuare la spinta doppia (a bastoncini paralleli) facendo 3 passi ad ogni spinta.

Come indicato sopra, serve molta pratica affinché si riesca ad automatizzare i movimenti al meglio, e riuscire a camminare ad alta intensità in salita.

Per quanto riguarda la discesa, sconsiglio di utilizzare i bastoncini; questo perché in questa fase la tecnica è molto più complessa e tende comunque a rallentare l’andatura. Le discese di una seduta di speed hiking possono essere fatte sia camminando che in corsetta (soprattutto se è ripida); in quest’ultimo caso, lo stimolo allenante sarà rivolto alla stiffness (che è un presupposto della velocità) e alla sensibilità di corsa. Consiglio di non correre in discesa come se si fosse in un Trail, altrimenti i giorni di recupero necessari per smaltire l’allenamento si prolungherebbero.

Ma come si struttura una seduta ideale di Speed Hiking?

Dipende ovviamente dal tracciato e dal tipo di allenamento che si vuole fare; riporto sotto alcuni protocolli che hanno solo valore di esempio; ognuno poi può modificarli (o mischiarli) come vuole:

  • Allenamento lungo: si tratta di effettuare un percorso della durata di 1h30’ e più, utilizzando i bastoncini nei tratti in salita a ritmo medio alto, camminando in pianura e corricchiando (o camminando) in discesa.
  • Cronoscalata: in questo caso solitamente l’obiettivo è quello di arrivare in cima ad una salita nel minore tempo possibile, effettuando l’allenamento in maniera progressiva. La discesa (per la stessa via, o per un sentiero alternativo) può essere fatta in corsetta o camminando.
  • Ripetute in salita: si sfrutta un tratto in salita che può andare da 1’ a 5’ percorrendolo ad alta intensità (a seconda della lunghezza); si scende camminando o in corsetta. Il numero di ripetute dipende da quando comincia a calare vistosamente il ritmo e ci si rende conto che l’intensità non è più allenante. Questo è l’allenamento più impegnativo dal punto di vista mentale; per renderlo meno duro, è possibile sfruttare più salite o fare ripetute di lunghezza diversa. Accorciando progressivamente la lunghezza delle ripetute, si riesce ad effettuare un volume maggiore ad alta intensità.

Ovviamente le ripetute e le cronoscalate avranno un impatto superiore sull’intensità metabolica, mentre l’allenamento lungo sarà più utile per migliorare le doti di resistenza aerobica (cioè il recupero). Nulla vieta di fare sedute a caratteristiche miste, come lunghi con all’interno delle ripetute, lunghi con all’interno delle cronoscalate o delle cronoscalate con variazioni di ritmo (stile farltek).

Altra variante estremamente interessante è quella di fare dei brevi tratti in salita in stile “nordic running” (vedi video esemplificativo).  

Attenzione, la tecnica del nordic running è estremamente difficile da imparare (ma può essere un obiettivo interessante da raggiungere!), in particolar modo per la frequenza con la quale devono lavorare le braccia e per la simmetria che si deve avere con le spinte. Infatti, non deve esserci equilibrio di spinta solamente tra le 2 gambe (altrimenti si rischiano sbilanciamenti ed infortuni), ma anche tra gambe e braccia; per questo motivo, consiglio di farlo su terreni non irregolari e per tratti brevi. In questo video potete trovare alcune azioni tecniche propedeutiche interessanti. Ricordo che il nordic running (come il nordic  walking) è una disciplina vera e propria della quale esistono una federazione e competizioni ufficiali; per chi vuole approfondire, consiglio il blog di Mattia Bianucci.

L’attrezzatura per lo speed hiking e gli errori da evitare

Partiamo subito dagli errori da evitare, che rappresentano un aspetto estremamente importante; quando si effettuano salite molto ripide ed irregolari, spontaneamente si tende ad effettuare passi più lunghi sempre con la stessa gamba. È ovvio che questo atteggiamento comporta un precoce affaticamento di un emilato del corpo, e a lungo termine uno squilibrio muscolare. Per questo motivo è da prestare particolare attenzione a come si effettuano i passi, e le prime volte utilizzare percorsi con salite dal fondo piuttosto regolare e non troppo ripide.

Altro aspetto da considerare è il tempo di recupero necessario per smaltire l’affaticamento della seduta; soprattutto le prime volte, chi non è abituato ad andare in discesa può risentire dell’affaticamento rispetto a chi è più esperto.

Ma passiamo ora all’attrezzatura necessaria: per l’abbigliamento è sufficiente trovare il giusto compromesso tra leggerezza, copertura ed eventuali rifornimenti. Per le calzature, consiglio delle scarpe da trail possibilmente leggere; se si conosce bene il percorso e questo non è pericoloso, è possibile usare anche quelle da strada (meglio se minimaliste). In questo modo sarà più allenante per la sensibilità dei piedi.

Per i bastoncini invece c’è da partire da un presupposto; se si vuole un prodotto di qualità, è necessario spendere qualcosa di più. La “qualità” si riferisce al fatto che l’attrezzo non si rompa facilmente; infatti, non è inusuale che il puntello si incastri tra pietre, radici o crepe del terreno. In questi casi una torsione o un piegamento eccessivo possono rompere il bastoncino. Ovviamente, chi approccia a questa disciplina giusto per provare, senza sapere se darà continuità o meno alla pratica, può anche optare per dei bastoncini economici; ma chi invece sa di usarli spesso, soprattutto in Trail o vertical, è essenziale usare prodotti di ottima fattura. Bastoncini di qualità solitamente:

  • Sono fatti in fibra di carbonio, in quanto è più resistente e leggera dell’alluminio.
  • Non devono essere ammortizzati, visto che nel nostro caso li usiamo solo in salita.
  • Devono essere telescopici, cioè divisibili in almeno 3 sezioni, per poterli ripiegare eventualmente nello zaino durante le discese lunghe.
  • Devono avere all’interno della confezione anche diverse tipologie di tappi copripuntale, per adattarli ad ogni terreno.
  • Sono lunghi almeno 120 cm, se si è alti 180 cm; è comunque sufficiente fare una prova a casa dell’altezza necessaria, prima di acquistarli.
  • Prima di acquistarli è importante leggere le recensioni su siti di e-commerce (come amazon) o seguire i consigli di tecnici esperti e competenti del settore.
bastoncini leki

Se si vuole trovare un ottimo compromesso tra qualità e prezzo, segnaliamo i Black Diamond Distance Carbon Z (consigliati da Christian Trail Running Reviews) molto leggeri (140g) ed in fibra di carbonio.

Se invece si vuole optare per la massima qualità, consigliamo i Leki micro RCM consigliati da Roberto Martini; ricordo che la Leki è azienda leader nel settore bastoni (trekking, sci, nordic, ecc.), con 250 brevetti e 70 anni di storia. Se si vuole optare per il prodotto performante più leggero in assoluto la soluzione sono i Leki micro Rcm superlight.

L’unico difetto di tutti prodotti sopra elencati è che non hanno i copripuntali in dotazione, acquistabili separatamente sempre su amazon. Per chi invece vuole acquistare un paio di bastoncini a basso costo, ma con ottimi giudizi, consiglio quelli della Glymnis; hanno il vantaggio di avere già (compresi nel prezzo) i copripuntali, pesano 270 g l’uno, sono in alluminio e con lunghezza regolabile da 110 a 130 cm.

Ricordo infine che i bastoncini rappresentano un’ottima idea regalo per gli amanti della corsa e degli sport outdoor; potete trovare altre soluzioni per i regali nel nostro post dedicato all’argomento.

Camminata tacco-punta e camminata punta-punta

Per spiegare in che modo la camminata (e le sue varianti) possa essere utile come attività di cross training, è importante comprendere la differenza tra il gesto della corsa ed il cammino; nell’immagine a fianco, potete vedere la semplificazione di un grafico che ha fatto la storia della biomeccanica (Novacheck 1998).

Senza addentrarci in discorsi complessi, è facile comprendere come nella corsa, l’energia potenziale e cinetica raggiungano il loro massimo nello stesso momento (vedi parte bassa dell’immagine) cioè a metà della fase di volo; questo è possibile grazie allo sfruttamento dell’elasticità della muscolatura mentre si corre. Nel cammino invece, l’energia cinetica e potenziale raggiungono il loro massimo in momenti diversi, con un utilizzo molto minore dell’elasticità muscolare.

Ma com’è possibile avvicinare il più possibile il gesto della camminata a quello della corsa?

È molto semplice, ma partiamo da un presupposto: la camminata, come tutti la conosciamo, è un movimento in cui il piede prende contatto prima con il tacco e poi con la punta; è il così detto “cammino tacco-punta.

Avete invece mai provato a prendere contatto a terra con la punta (cioè con l’avampiede)? Attenzione, non si tratta di camminare sulle punte, ma di prendere contatto ed appoggiare solamente con la parte anteriore del piede; è il “cammino punta-punta”. Ma andiamo ora a vedere gli spunti metodologici che offrono questi 2 modi di camminare.

La camminata tacco-punta

Rappresenta il modo di camminare normale, quello di tutti i giorni! È evidente che le differenze tra questa andatura e la corsa sono 2: la prima è che l’intensità è inferiore rispetto alla corsa (a meno che si cammini per una salita ripida). La seconda è che (come abbiamo visto sopra) la biomeccanica è diversa. Nel bene e nel male queste caratteristiche definiscono la camminata come un’attività di cross training con l’utilità principale di favorire i processi di recupero. Infatti, l’intensità non elevata e la biomeccanica leggermente diversa permettono di praticare quest’attività anche tra un allenamento di corsa e l’altro, favorendo la vasodilatazione (il flusso di sangue nei muscoli) e di conseguenza il ricambio di sostanze per accelerare il recupero.

Ma non finisce qui: infatti, inserire tratti di salita impegnativi, aiuta ad elevare il consumo di ossigeno, rendendo la seduta più allenante. Anche le discese, se impegnative, sollecitano i muscoli con azioni di “micro-frenata” ad ogni passo favorendo lo sviluppo della stiffness; nulla vieta, se si percepisce come più comodo, di corricchiare in discesa, piuttosto di camminare. Sedute lunghe con salite e discese (tipiche dell’escursionismo) possono avere un effetto allenante vero e proprio, con il vantaggio di utilizzare un gesto motorio meno traumatico, riducendo il rischio di infortuni, o facilitando la ripresa della condizione dopo un infortunio.

La camminata è uno schema motorio di base che dal punto di vista ontogenetico precede la corsa; cosa significa? Vuol dire che durante la nostra crescita tutti abbiamo imparato prima a camminare e poi a correre; camminare bene, aiuta quindi a correre bene. Allo stesso modo, anomalie posturali nella corsa (che possono essere causa di infortuni), possono essere evidenti anche nella camminata, ma con la differenza che camminando è più facile accorgersene. Di conseguenza, ascoltate il vostro corpo mentre camminate, vi fornirà informazioni importanti anche sul modo con il quale correte.

Ma con quali scarpe camminare?

Proprio per il concetto espresso sopra, in teoria sarebbe bene camminare con un paio di scarpe minimaliste, in quanto permettono di percepire con maggiore sensibilità l’appoggio e di conseguenza essere più allenanti. Ovviamente l’abitudine all’utilizzo di questo tipo di calzature dovrebbe essere graduale, indossandole magari dalle attività di tutti i giorni.

Camminare in gara

Nei trail è abbastanza frequente trovare salite che per lunghezza e pendenza non ci permettono di correre. Chi partecipa saltuariamente a questa tipologia di gare, si sarà accorto di percepire più fatica a camminare in salita, rispetto a chi è abituato a farlo. Questo, perché richiede una certa coordinazione specifica e resistenza muscolare locale, che non vengono allenate allo stesso modo correndo. Di conseguenza, se si ha l’intenzione di fare dei trail (soprattutto se medio-lunghi), è da inserire la camminata in allenamento (soprattutto in salita), all’interno delle sedute di corsa o tramite sedute specifiche (tipo escursionismo). Stessa cosa vale se si vogliono utilizzare i bastoncini in gara!

Altra condizione nella quale si cammina in gara è il walk break in maratona; ma cos’è? Semplice, si tratta di inserire dei tratti di cammino strategici all’interno della maratona, per portarla a termine nel miglior modo possibile. A mio parere, questo non dovrebbe comunque essere la prassi, in quanto chi prende al via ad una maratona, dovrebbe aver fatto una preparazione in grado di permettergli di correrla per intero.

Può comunque succedere di non esser riusciti ad effettuare l’intera preparazione correttamente (saltando alcuni allenamenti per impegni vari), o rendersi conto ad un certo punto della gara (ad esempio al 30° km) di andare in grossa difficoltà; cosa fare in questi casi?

Semplice, si inseriscono 1-2’ di cammino all’inizio di ogni Km, da un certo punto della gara in poi. In questo modo, si effettueranno dei mini-recuperi ad ogni km, permettendo ad alcuni gruppi muscolari (soprattutto quelli della catena estensoria, responsabili dell’elasticità muscolare) di recuperare parzialmente, proseguendo con un gesto motorio leggermente diverso dalla corsa. Non solo, sarà più facile digerire i rifornimenti di carboidrati ed acqua presi durante il percorso, oltre ad avere un gran vantaggio psicologico, cioè quello di costruirsi tanti “mini-traguardi” da raggiungere ad ogni cartello chilometrico.

Ovviamente questa strategia non va improvvista nel contesto “quando non ce la faccio più, comincio a camminare”, ma iniziata in gara nel momento stabilito prima della partenza (con un certo grado di tolleranza ovviamente) o comunque prima di andare in difficoltà.

La camminata punta-punta

Consiste nel camminare appoggiando il piede a terra prevalentemente con l’avampiede (non vuol dire camminare sulle punte); questo gesto, ha una maggior coincidenza biomeccanica con la corsa. Infatti una  tecnica di corsa corretta, implica il prendere contatto con il terreno il più possibile sotto il corpo. Provate a camminare “punta-punta” e noterete come per effettuare correttamente questo gesto, sarete costretti ad appoggiare il piede sotto il corpo; sicuramente non è un modo facile e veloce di camminare, ma ha una maggior coincidenza biomeccanica con la corsa, rispetto alla camminata normale. Ma quali sono i pregi e difetti di questo gesto rispetto alla camminata normale?

Sicuramente può aiutare a sensibilizzare una miglior tecnica di corsa per chi tende ad appoggiare il piede troppo avanti rispetto al proprio baricentro; infatti, è da ricordare che prendendo contatto con il terreno troppo avanti rispetto al corpo (mentre si corre), si tende a “frenare” eccessivamente la propria azione (vedi immagine sotto). Il cammino punta-punta aiuta a sensibilizzare un appoggio più corretto (cioè sotto il corpo), atteggiamento che poi può essere trasferito facilmente mentre si corre.

Semplificazione degli effetti della distanza del piede dal corpo, durante la fase di appoggio della corsa

Altri aspetti interessanti di questo gesto sono l’utilità durante la ripresa dopo un infortunio o la prevenzione stessa; infatti, malgrado il movimento si avvicini molto alla corsa, è molto meno traumatico perché quando si cammina non ci sono fasi di volo che determinano grossi impatti. Per questo motivo rappresenta una sorta di “potenziamento estensivo”, cioè una forma di allenamento neuromuscolare molto blando, che raggiunge il suo effetto allenante grazie alla ripetizione molto prolungata (quindi non traumatica) del gesto.

Non solo, essendo un gesto “non spontaneo” come la camminata classica, permette di evidenziare molto facilmente lacune di tipo coordinativo e posturale, fornendo eventuali informazioni per correggere la postura ed il gesto della corsa.

Unico difetto, rispetto alla camminata tacco-punta, è l’intensità metabolica; la difficoltà coordinativa del “punta-punta” non permette di eseguire un gesto molto dispendioso dal punto di vista aerobico, per questo meno allenante da questo versante metodologico.

Ma come organizzare una seduta?

Già 30-50’ di cammino punta-punta sono molto impegnativi dal punto di vista coordinativo, quindi molto allenanti; necessitano comunque di poco tempo di recupero, quindi possono essere sfruttati anche come seduta per velocizzare il recupero.

Nel caso in cui si volesse inasprire ancor di più la seduta, consiglio di farla su un percorso con salite-discese; in questo caso, il cammino punta-punta può essere fatto solo in salita ed in pianura, mentre le discese si fanno camminando normalmente o in corsetta leggera. In salita è molto più faticoso (dal punto di vista coordinativo e muscolare) usare questa tecnica, per questo l’allenamento diventa anche più efficace; sedute collinari possono anche arrivare a durare 90-100’ e conferire uno stimolo allenante superiore, soprattutto se presenti salite lunghe ed impegnative. È sempre consigliabile effettuare la maggior parte della salita-pianura su asfalto, mentre la discesa è indifferente; da preferire (proprio per stimolare maggiormente la sensibilità) l’utilizzo di scarpe minimaliste.

Yoga

È l’attività che più di altre sta prendendo corpo come disciplina complementare per il podista, in particolar modo nel mondo anglosassone, che ha sempre anticipato metodologie e novità che poi abbiamo trovato dalle nostre parti. Essendo una disciplina che abbraccia diverse aree della motricità e del benessere, può trovare veramente molte applicazioni per il runner; potete reperire un approfondimento dettagliato della connessione tra Yoga e sport nel libro di BKS Iyengar, intitolato proprio Yoga e sport, di cui potete trovare una recensione nel nostro post dedicato alla preparazione atletica nel calcio.

Ma cosa dice la bibliografia internazionale sul legame tra Yoga e running?

Sono pochi gli studi che hanno verificato gli effetti di questa disciplina per i runner, ma tutti hanno dato risultati significativi. Bera et al 1998  e Donohue et al 2006 trovarono che lo Yoga è in grado di migliorare il recupero post sforzo e ridurre lo stress; potete trovare un approfondimento delle pratiche Yoga più utili per il recupero nel nostro post dedicato all’argomento.

yoga running

Non solo, recentemente Budhi et al 2019 e Seltman et al 2020 trovarono come lo Yoga fosse in grado di migliorare le funzioni respiratorie, anche in atleti (come i podisti) che di per sé sono particolarmente allenati dalla pratica sportiva.

Campo di applicazione poco indagato a livello sperimentale, ma che per me ha una grande evidenza all’aspetto pratico, è la funzionalità; infatti esiste una grande analogia tra i movimenti dell’allenamento funzionale e gli asana (cioè le varie posizioni) dello Yoga. La differenza è che quest’ultimo è maggiormente incentrato sull’estensibilità, sulla stabilità muscolare delle catene e sul riequilibrio psico-fisico, mentre l’allenamento funzionale è maggiormente orientato sull’efficienza dei movimenti. Ne deriva che il saper prendere il meglio da entrambe le discipline, permette di trasferire all’atleta ottime competenze dal punto di vista psico-fisico. L’esempio lampante è il nostro programma di allenamento funzionale per il core, nel quale si trovano sia movimenti dell’allenamento funzionale che dello Yoga.

Fino ad ora abbiamo comunque visto come alcune posizioni dello Yoga trovino applicazione ed utilità nella vita del Runner, ma quali possono essere gli effetti di una pratica costante come può essere un corso di Yoga? Ovviamente non può portare altro che benefici, in particolar modo dal punto di vista del recupero, dal punto di vista dell’equilibrio psico-fisico e dal punto di vista posturale.

Possiamo quindi concludere che il recupero, l’abbinamento all’allenamento funzionale e la pratica costante, sono i 3 ambiti nei quali il runner può trovare grandi benefici grazie allo Yoga.

Altri sport ed altre discipline

Le attività di cross training da cui il runner può attingere sono veramente tante; sopra abbiamo visto quelle che per utilità e fruibilità sono alla portata della maggior parte dei podisti. Riportiamo sotto altri sport e discipline, con la relativa utilità.

SPORT DI SQUADRA: molti runner provengono da discipline come il calcio, pallavolo, basket, ecc. Se praticati sin dalle categorie giovanili, questi sport contribuiscono a rendere l’atleta efficiente dal punto di vista neuromuscolare e a sviluppare l’attitudine all’impegno (cosa di non poco conto per uno sport di fatica come la corsa). Non a caso, non è raro trovare atleti che provengono da queste discipline che, con una certa naturalezz,a riescono ad allenarsi e partecipare a competizioni di 10 Km. Quello a cui però è da prestare attenzione, è che il calcio (come il basket, la pallavolo, ecc.) sono discipline ad altissimo impatto neuro-muscolare. Runner giovani, abituati a praticare questo tipo di attività con costanza, possono trarre giovamento dal cross training con questi sport, perché hanno molta vicarianza con la corsa e sono molto allenanti dal punto di vista neuromuscolare. Un elevato chilometraggio di corsa però, tende a “disabituare” dal punto di vista motorio ai cambi di direzione (la cosa è ancor più esacerbata con il passare degli anni) rendendo queste discipline ad alto rischio di infortuni.

SCI DI FONDO E SKIROLL: sono sicuramente le discipline aerobiche più “ricche” (e divertenti), dal punto di vista degli stimoli allenanti. Provate solo a pensare a quanti gruppi muscolari vengono mossi in questo tipo di attività e sarà facile comprendere il loro potere allenante. Il fatto poi di utilizzare i muscoli delle braccia, oltre a quelli delle gambe, offre uno stimolo di natura cardiorespiratoria che nessun’altro sport può offrire. Purtroppo queste attività sono di difficile praticabilità per 2 motivi: il primo è che servono condizioni/strutture particolari (neve o piste pedonali particolarmente larghe e poco trafficate) e il secondo che è necessario un certo periodo per apprendere correttamente la gestualità tecnica.  Per questo motivo, consigliamo (vivamente) queste discipline solamente a chi ha la possibilità di praticarle.

ATTIVITA’ AEROBICHE IN PALESTRA: nel periodo invernale il runner può trovare giovamento nelle attività offerte dalle palestre; queste sono di 2 tipi:

  1. Attività gestite autonomamente sugli ergometri come ellittica, bike, step, ecc.
  2. Corsi organizzati, come pilates, aerobica, spinning, ecc.

A mio parere è sempre meglio seguire i corsi organizzati, perché sono più divertenti ed allo stesso tempo permettono di essere guidati da personale qualificato. Quello che è importante, è comprendere quale stimolo allenante offra una determinata attività; ad esempio il pilates, lo possiamo considerare una disciplina a carattere primariamente neuromuscolare, mentre l’aerobica o lo spinning, anche a carattere metabolico

Ma l’attività in palestra che sta sempre più spopolando tra i runner è il cross-fit, soprattutto perché costituisce l’allenamento di base per le Spartan Race.

Riassunto conclusivo

Tabella semplificata e riassuntiva dei fattori delle discipline di cross training più praticate

Possiamo concludere che il cross training è un approccio che per il runner è “50% testa e 50% metodologia”; infatti, quello che è importante capire, è che queste attività non vanno solo inquadrate dal punto vista metodologico, ma anche dal punto di vista del benessere mentale e sociale. L’opportunità di fare attività anche quando non è possibile correre (per infortuni o affaticamenti), di fare sport risentendo meno del clima, di vedere posti nuovi (o solamente in modo diverso) o fare pratica insieme a persone con cui abitualmente non si corre, rendono il cross training una scelta che viene incontro all’aspetto motivazionale e sociale del podista.

Se poi viene effettuato con il giusto approccio metodologico (vedi immagine sopra) non potrà fare altro che migliorare la longevità atletica e favorire la performance del runner.

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 Autore dell’articolo: Luca Melli (melsh76@libero.it), istruttore di Atletica leggera GS Toccalmatto, istruttore Scuola Calcio A.S.D. Monticelli Terme 1960 e preparatore atletico AC Sorbolo.

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